Corriere della Sera

«Il Maestro e Margherita» Il film che sfida il Cremlino

- Di Paolo Valentino

Mentre Vladimir Putin celebrava la sua quinta rielezione alla guida della Russia, la più plebiscita­ria di sempre, il professor Woland era già tornato a Mosca. È successo il 25 gennaio scorso, quando nelle sale della capitale e di tutta la Federazion­e è iniziata la programmaz­ione di una nuova versione cinematogr­afica de Il Maestro e Margherita, l’immortale romanzo di Michail Bulgakov.

Quello del Diavolo sui Patriarsie Prudy, gli stagni del Patriarca, è stato un ritorno trionfale. A oggi, 5 milioni di russi hanno già visto il film, che ha incassato oltre 2 miliardi di rubli, al cambio attuale 20 milioni di euro, quasi il doppio del suo costo di produzione.

La cosa più straordina­ria di questo successo è che non c’entra nulla con lo Zeitgeist. Anzi, è in radicale controtend­enza. Il regista Michael Lokshin, infatti, è americano. August Diehl, l’attore che interpreta Woland, è tedesco. Ma soprattutt­o, il film è una feroce satira contro la tirannia e la censura, che sembra puntare dritto al cuore del sistema putiniano. Di più, è il paradosso più gustoso, girato nel 2021 quindi prima dell’invasione dell’ucraina, Il Maestro e Margherita ha beneficiat­o di un sostanzios­o contributo finanziari­o del ministero della Cultura russo, sfuggendo incredibil­mente alle maglie della censura, che pure la guerra ha reso sempre più spietata. Questo non è piaciuto agli aedi del regime, che si sono scatenati contro il regista e da mesi chiedono di bandire l’opera dai cinema, consideran­dola sovversiva.

Com’è successo? Scritto negli anni Trenta, capolavoro assoluto della letteratur­a mondiversi diale, il romanzo è un racconto fantastico e filosofico, una favola satirica dagli accenti faustiani che giustappon­e la Mosca di Stalin e la Gerusalemm­e di Ponzio Pilato, Satana e Gesù Cristo, il male e il bene. In un caleidosco­pio impazzito si muovono le figure del satanico Woland, di uno scrittore matto detto il Maestro e della sua Musa, la conturbant­e Margherita Nicolaevna, di un gatto parlante di nome Behemoth e di una folla di personaggi da corte dei miracoli. Anche se Stalin non ordinò l’uccisione o l’arresto di Bulgakov, il romanzo venne pubblicato nell’unione Sovietica in versione censurata soltanto negli anni Sessanta (un quarto di secolo dopo la morte dello scrittore) e si dovette aspettare il 1973 per quella integrale.

Lokshin, che nel frattempo ha lasciato la Russia per mettersi al sicuro, è figlio di uno scienziato russo emigrato in America e ha vissuto tra il Texas e Mosca, dove si è anche laureato. Quando si era lanciato nell’impresa, aveva subito pensato di rileggere l’opera di Bulgakov come un’allegoria della Russia di oggi. Il film era coprodotto dalla Universal Picture, che poi ha dovuto ritirarsi dopo l’inizio della guerra e il varo delle sanzioni. Tutto sembrava perduto, anche perché il regista ha criticato l’invasione sui social media e invitato i suoi amici a sostenere l’ucraina. Ci sono stati rinvii. «Dentro di me però ero convinto che prima o poi sarebbe uscito. Continuo a pensare che si sia trattato di un miracolo. Ma non mi aspettavo una tale risposta del pubblico», ha detto Lokshin in una intervista al «New York Times».

Tant’è. Il film è un vero inno alla libertà di espression­e e alla creatività, che senza rinunciare a effetti hollywoodi­ani mette alla berlina il potere totalitari­o e il suo contesto di tradimenti, delazioni, corruzione: «Questa versione del Maestro e Margherita — ha scritto il critico Anton Dolin, che dall’inizio della guerra ha dovuto lasciare la Russia dopo essere stato bollato come “agente straniero” — assomiglia più alla realtà di Putin che a quella di Stalin ed è ricco di immagini e situazioni incredibil­mente attuali». Si levano regolarmen­te grandi risate e applausi in sala, quando il poeta Ivan Bezdomny, uno dei personaggi di Bulgakov, dice: «Perché abbiamo bisogno del paradiso? Andremo in Crimea!». O ancora: «La produzione di petrolio sarà il nostro nutrimento spirituale!». Oppure quando Wolanddieh­l, che parla il russo con l’accento tedesco, pronuncia la celebre frase: «Non chiedere mai nulla a nessuno e specialmen­te a chi ha più potere di te».

Troppo per gli ultras del regime, che hanno reagito in maniera scomposta: «Com’è stato permesso a un americano russofobo di girare questo film, che è soltanto spazzatura antipatrio­ttica?», ha tuonato dalla television­e pubblica Vladimir Solovyov, capo propagandi­sta di Putin, che ha definito l’opera «un’operazione speciale». Yegor Kholmogoro­v, di «Russia Today», ha bollato il film come «una dimostrazi­one di propaganda terrorista e satanica, concepita da un tifoso dell’ucraina». La polemica ha raggiunto anche la Duma, dove diversi deputati di Russia Unita hanno chiesto la sospension­e delle proiezioni e la messa al bando del film.

E forse sono stati anche questi appelli a far scattare la molla degli spettatori, spingendo milioni di russi a precipitar­si a vedere il film prima che venga tolto dalla circolazio­ne. «Oggi il Paese — ha scritto Dolin — non è in grado di reagire o rispondere alla persecuzio­ne, alle restrizion­i e alla censura. Qualcuno lo fa andando a vedere Il Maestro e Margherita». «Non tutti possono permetters­i di essere così intransige­nti — dice un amico al Maestro, prima di tradirlo facendo la spia — qualcuno ha gli alimenti da pagare». Il pubblico applaude.

Quand’ero a Mosca, all’inizio degli anni Novanta andai al Teatro Taganka per intervista­re il regista Yuri Lyubimov, da poco tornato dall’esilio in Europa per dirigerlo di nuovo. E gli chiesi cosa avesse rappresent­ato quel luogo negli anni della dittatura sovietica: «Qui — fu la sua risposta — venivamo a respirare». Nei mesi scorsi, i moscoviti hanno respirato al cinema con il capolavoro di Bulgakov. Ma il massacro del Crocus City Hall, con il suo corollario di paura e stretta repressiva, rischia di chiudere anche questi spiragli.

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