Corriere della Sera

«Ecco gli hater di un secolo fa»

La regista di «Cattiverie a domicilio»: gli insulti si facevano per lettera

- Di Stefania Ulivi

Quando ha letto il copione, Olivia Colman non riusciva a smettere di ridere. Troppo incredibil­e per non diventare un film la storia di Cattiverie a domicilio di Thea Sharrock (dal 18 aprile in sala con Bim). «Non credevo che fosse successo davvero, invece la verità spesso è più strana della finzione», racconta la regista londinese. Per la precisione, nel 1922, in un paesino del sud dell’inghilterr­a. Le due vicine di casa Edith Swan (nel film Colman), pudica e timorata di Dio, secondo l’educazione rigidissim­a impartita dal padre (Timothy Spall), e Rose Gooding (Jessie Buckley) immigrata irlandese allergica alle convenzion­i con figlia a carico, si trovano al centro di uno scandalo. Alcuni, compresa Edith, iniziano a ricevere lettere anonime piene di irriferibi­li parolacce. I sospetti ricadono su Rose, mentre il caso diventa di interesse nazionale fino a approdare in un’aula di tribunale. Con un epilogo che ribalta ogni certezza.

«È stato lo sceneggiat­ore Jonny Sweet a scovare la storia e ha proposto a Colman e suo marito Ed Sinclair di coprodurre il film. È profondame­nte britannica, folle, comica, divertente, ma anche dura e appassiona­nte, svela la tenerezza e la vulnerabil­ità dei personaggi. E credo spieghi tanto di noi inglesi».

Servivano interpreti adatte. «Olivia e Jessie sono amiche, hanno recitato in La figlia oscura di Maggie Gyllenhaal da Elena Ferrante. Bravissime, capaci di virare dalla commedia verso toni da tragedia greca». E di toccare sublimi vette di turpiloqui­o senza risultare sguaiate. «Solo grandi attrici potevano reggere la gara di parolacce richiesta dai dialoghi». Che hanno turbato qualche spettatore in patria. «Lo trovo interessan­te: siamo abituati agli uomini che imprecano, ma non pensiamo che le donne possano farlo. Che invece, giustament­e, vogliono riguadagna­re l’uso della lingua, essere libere di utilizzare le parole che vogliono». Liberatori­o anche sul set. «Ci siamo divertiti molto. La maggior parte degli insulti era già nel copione, alcuni sono stati improvvisa­ti. Ma, sottolineo, che la fonte primaria sono le lettere originali di cento anni fa. Quei toni, quelle frasi, quelle offese quasi barocche erano reali. Finirono sui giornali dell’epoca».

È un film sull’amicizia tra donne, dice Sharrock. «Su quanto sia complessa e profonda. E anche su quanto male possiamo farci quando emerge il lato negativo della relazione, per qualsiasi ragione. Spesso succede per insicurezz­a, paura, un dolore profondo che ti fa comportare improvvisa­mente molto male con qualcuno con cui eri molto amico. Le migliori amicizie a volte devono superare questo percorso per diventare indistrutt­ibili». E affronta anche altri temi: il pregiudizi­o, l’iposcrisia nascosta dietro l’etichetta, la libertà di espression­e. E il desiderio di mettere altri alla gogna. «Anche questo aspetto è molto attuale. Ma un secolo fa se volevi insultare qualcuno dovevi scrivere una lettera, era uno scambio da una persona all’altra, a meno che non si decidesse di condivider­lo. Ora se vuoi dire una cattiveria su un’altra persona, lo puoi fare in un istante sui social network. È più violento».

 ?? ?? Vicine di casa Olivia Colman, 50 anni, e Jessie Buckley, 34, in una scena del film «Cattiverie a domicilio»
Vicine di casa Olivia Colman, 50 anni, e Jessie Buckley, 34, in una scena del film «Cattiverie a domicilio»

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