Corriere della Sera

70 ANNI «È un calcio esagerato deve pensare di più ai tifosi Spalletti? Mentalità giusta»

Il campione Giancarlo Antognoni, 15 stagioni in viola e 73 volte azzurro «La Fiorentina ha fatto le sue scelte e sono fuori, ma spero sempre di tornare»

- Di Leonardo Bardazzi

«Non ho rimpianti, anche se qualche sogno nel cassetto lo conservo ancora». Giancarlo Antognoni, campione del mondo in Spagna nell’82 e bandiera della storia della Fiorentina, domani compirà 70 anni: «Un traguardo molto bello, che da giocatore vedevo lontanissi­mo e che invece è arrivato in fretta», racconta lui stesso in attesa di festeggiar­e con un pranzo in famiglia e di godersi l’abbraccio della città. I vecchi ultrà della curva Fiesole per martedì gli hanno organizzat­o una cena sui lungarni, mentre un amico appassiona­to gli ha dedicato una mostra piena di cimeli. L’«unico 10» infatti, da queste parti è molto più di un semplice calciatore.

Antognoni, che effetto fa arrivare ai settanta?

«Beh, finché si stava sul 6 andava bene, ora che il primo numero diventa il 7 le cose cambiano... Diciamo che non me li sento. Mi diverto col golf e il padel, seguo il calcio e spero ancora in una chiamata viola».

Lei scelse di restare per tutta la carriera a Firenze. Nel calcio di oggi pensare a una storia così sembra pura utopia.

«Per me fu facile. Mi innamorai di Firenze già dopo i primi allenament­i a Coverciano con le giovanili della Nazionale. Quando chiamò la

Fiorentina giocavo in serie D e dissi subito sì, il resto lo fecero i tifosi: mi misero sull’altare. Fin dalle prime partite. Sentivo di avere un debito con loro e sono riuscito a saldarlo, tanto che anche oggi l’affetto di Firenze mi ripaga degli scudetti che non ho vinto».

Che è successo con la Fiorentina? Perché una bandiera come lei è fuori dal club?

«Hanno fatto altre scelte, da parte mia c’ero e spero di esserci in futuro. Ero Club Manager e mi offrirono un posto nelle giovanili. Volevo restare ancora con la prima squadra e dissi no. Non nego che i rapporti col direttore Joe Barone fossero molto tesi, ma ovviamente sono rimasto sconvolto dalla sua scomparsa. Faceva le cose a modo suo e io non le ho accettate, per questo due anni fa me ne sono andato. Sono sempre stato coerente con me stesso ed è una scelta che rifarei. Non nego che mi piacerebbe lo stesso lavorare nel nuovo Viola Park, pensi che ancora non ci sono stato. Spesso però i miei suggerimen­ti non venivano considerat­i dagli altri dirigenti e questo mi amareggiav­a».

Per esempio?

«Thuram. Marcus, che ora è un valore aggiunto dell’inter, l’avevo seguito quando giocava in Germania, a Monchengla­dbach. Aveva un prezzo nei parametri della Fiorentina e un talento evidente: in società però mi dissero che era “troppo giovane”. Il resto lo sapete. C’est la vie, potrei dire. Negli Anni 90, ai tempi di Cecchi Gori, ci serviva un difensore e avevamo già fatto firmare Lilian, il padre di Marcus, ma sul più bello il Monaco stoppò tutto. Diciamo che coi Thuram non sono stato fortunato... Le racconto tutto questo per farle capire quanto avrei voluto sentirmi importante. Sia chiaro, anche io ho i miei difetti e alla soglia dei 70 anni ho imparato a mettermi nei panni degli altri. La Fiorentina però è la mia vita. E starle lontano mi fa star male».

E dire che era milanista da ragazzo.

«Verissimo. Mio padre Gino gestiva un bar a Perugia che era un Milan Club e mi portò a vedere un Bolognamil­an allo stadio. Era la mia prima volta, avevo 12 anni e ammirare Rivera fu una specie di folgorazio­ne. Mio padre però non ha mai spinto perché diventassi calciatore. Mi portava a caccia e mi lasciava libero di scegliere. Fu mio fratello maggiore Viscardo ad accompagna­rmi a Firenze per firmare il contratto».

Ottobre 1972, l’esordio in A.

«Avevo 18 anni ed ero arrivato da poco, ma c’era De Sisti squalifica­to e Liedholm mi disse che sarebbe toccato a me. Anzi, Nils aggiunse che sarei diventato più forte di Picchio, che allora era il capitano e simbolo dello scudetto viola 1969. Da lì partì tutto, una storia meraviglio­sa che neanche gli infortuni (Antognoni nell’81 rischiò perfino la vita per uno scontro con il portiere genoano Martina, ndr) hanno potuto sciupare».

Lei è molto legato al c.t. Spalletti. Che speranze abbiamo per l’europeo?

«L’italia è sempre una squadra ostica per tutti. La mentalità di Luciano potrà fare la differenza, saremo protagonis­ti».

Difficile oggi trovare un numero 10 come lei. In chi si rivede?

«Dico Barella, che abbina tecnica e velocità. Ma la verità è che i fantasisti stanno sparendo. Oggi si corre e si pressa tanto, le squadre hanno 25

d

Addio fantasisti Mi rivedo un po’ in Barella, oggi si corre e si pressa tanto, i fantasisti sono in via di estinzione

giocatori e i calendari sono super compressi. Io mi diverto ancora, però una correzione in questo senso andrebbe fatta. Non ci dimentichi­amo che l’azienda-calcio sta in piedi grazie ai tifosi».

Che regalo vorrebbe aprire domani?

«Beh, il regalo sono i miei figli Rubinia e Alessandro. E Rita, che mi sopporta dal ‘77. Se proprio devo esprimere desideri dico la telefonata della Fiorentina e un nipotino. A 70 anni è l’ora di diventare nonno».

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Images) (Getty Miti Giancarlo Antognoni in azione durante Fiorentina-napoli (3-1) della stagione 19861987. Alle sue spalle, Diego Armando Maradona

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