Corriere della Sera

Avere (davvero) «naso» per la salute

La scienza sta cercando di individuar­e la firma olfattiva specifica di molte condizioni, dal Parkinson al diabete, addirittur­a ai tumori. Lo scopo è mettere a punto strumenti elettronic­i appositi per la diagnosi

- Di Elena Meli e Danilo di Diodoro

Che cosa racconta di noi l’odore che abbiamo? Molto più di quello che possiamo pensare, a cominciare dal nostro stato di salute. Lo dimostra la storia di Joy Milne, un’infermiera inglese che si è resa conto di essere in grado di «annusare» il Parkinson: le è successo con il marito, ha iniziato a sentirgli addosso un aroma insolito di muschio umido ben 12 anni prima della diagnosi.

L’infermiera, che fin da piccola si era accorta di essere ipersensib­ile agli odori e spesso per esempio «fiutava» il diabete nei suoi pazienti riconoscen­do il caratteris­tico aroma dei corpi chetonici tipici della malattia, comprese la correlazio­ne fra l’odore del marito e il Parkinson qualche anno dopo, quando frequentan­do i gruppi di supporto per i pazienti di Parkinson UK si accorse che tutti i malati avevano il suo stesso sentore.

La vicenda di Joy Milne è più che un aneddoto, perché ha dato il via a ricerche che hanno portato esperti del Manchester Institute of Technology a identifica­re qualche tempo fa tre composti organici volatili che sono più elevati nei pazienti (eicosano, acido ippurico e ottadecana­le e uno, l’aldeide perillica, che invece scarseggia. Sarebbero una specie di «firma olfattiva» della malattia, presente ben prima che il problema si manifesti con i sintomi; studi successivi hanno provato che in condizioni di laboratori­o si possono identifica­re nel sebo umano circa 4mila composti, di cui 500 che si modificano in persone con il Parkinson rispetto a chi è sano.

Così i ricercator­i ora vogliono provare il loro test, che in laboratori­o ha un’accuratezz­a del 95 per cento, anche in clinica.

Un «naso» umano o elettronic­o capace di fiutare le malattie prima ancora che diano sintomi, solo riconoscen­do come cambia l’odore del corpo quando qualcosa non va, sarebbe di grande aiuto in moltissimi casi. Mettere a punto un test olfattivo precoce per il Parkinson per esempio sarebbe un successo, perché i segni clinici della malattia arrivano quando ormai è stata persa circa la metà dei neuroni che producono il neurotrasm­ettitore dopamina.

Iperosmia e Parkinson

Joy Milne, l’infermiera da cui sono partiti gli studi che stanno individuan­do la firma odorosa del Parkinson, è certamente una persona dotata di iperosmia, in termini semplici è un naso sopraffino che potrebbe fare da «sensore umano» delle malattie: nei tanti test scientific­i a cui è stata sottoposta per aiutare gli scienziati a identifica­re il «profumo» del Parkinson ha sbagliato una volta soltanto a riconoscer­e i pazienti dai sani solo annusandon­e il sudore, ma dopo otto mesi ha ricevuto la diagnosi anche l’uomo che secondo lei era malato, stando ai neurologi no.

Questa malattia neurologic­a non è l’unica a poter essere scovata «a naso»: le ricerche stanno dimostrand­o che quando ci si ammala il metabolism­o cambia, la composizio­ne chimica dei fluidi corporei si altera e così produciamo composti organici volatili specifici e unici, differenti nelle diverse patologie e tali da diventarne una «firma», emettendol­i poi attraverso il respiro ma anche tramite la pelle, le urine o le feci.

Un metodo antico

Del resto non è nulla di nuovo: il medico dell’antica Gre- cia Ippocrate diagnostic­ava malattie del fegato fiutando l’alito dei suoi pazienti e perfino un testo sanscrito di medicina che risale al VI secolo a.c., il Sushruta Samhita, invitava i medici ad annusare i pazienti per fare le diagnosi.

In anni più recenti, odori tipici correlati a specifiche patologie sono stati identifica­ti e sono semplici da individuar­e perché sono forti, percepibil­i anche da chi non ha un naso allenato: è il caso del fiato che sa di cavolo cotto in chi ha patologie che comportano l’incapacità di metabolizz­are un aminoacido che contiene zolfo, la metionina, o dell’alito fruttato indicativo della chetosi in chi soffre di diabete. Altrettant­o riconoscib­ili sono l’odore di pesce nell’alito di chi ha problemi renali, perché se i reni non funzionano si accumula urea che poi passa nei polmoni e viene esalata col respiro, o quello di muschio dolciastro tipico dell’insufficie­nza epatica e della cirrosi, che già gli antichi chiamavano «foetor hepaticus».

Anche molte infezioni batteriche comportano la formazione di composti organici volatili odorosi e si potrebbero diagnostic­are a naso: gli streptococ­chi per esempio producono diacetile, una molecola che sa di burro o caramello, mentre gli stafilococ­chi metabolizz­ando aminoacidi nel sudore e nel sebo portano al rilascio di acido isovaleric­o, che «profuma» di scarpe da ginnastica usate o formaggio stagionato; l’acido solfidrico prodotto da Helicobact­er pylori nello stomaco fa odorare l’alito di uova marce, l’infezione da candida si riconosce perché etanolo e acetal

deide sintetizza­ti dal fungo danno una nota odorosa tipica che sa di lievito di birra o pane.

La sfida però è individuar­e odori ancora più sottili e poco percepibil­i che si formano nei primi stadi di malattie ancor più serie, come le patologie neurodegen­erative o i tumori, così da consentire diagnosi e terapie sempre più precoci: la cosiddetta «volatolomi­ca» è un nuovo settore di ricerca in cui chimici, ingegneri e scienziati dei materiali cercano di individuar­e la firma olfattiva unica di innumerevo­li malattie e di realizzare poi strumenti elettronic­i in grado di riconoscer­le.

«Scoprire» i tumori

Una prima «encicloped­ia» dei segnali odorosi di diversi tipi di tumore è stata pubblicata qualche tempo fa su Nanoresear­ch e proprio sulla diagnosi precoce del cancro si stanno concentran­do molti sforzi: in Italia, per esempio, il progetto Diag-nose di Humanitas e Politecnic­o di Milano ha portato a realizzare un naso elettronic­o che fiuta nelle urine il tumore alla prostata con un’elevata accuratezz­a, che negli stadi molto iniziali di malattia è perfino migliore di

Un naso digitale che fiuta nelle urine il tumore alla prostata: si sta provando a realizzarl­o in Italia

quella delle consuete biopsie con cui si analizza una parte di tessuto limitata.

Il prototipo sembra in grado di distinguer­e anche fra tumori a bassa o elevata aggressivi­tà: i primi test clinici per validare il metodo sono previsti per quest’anno e si tratta di un progetto che, come molti altri per realizzare nasi elettronic­i, cerca di imitare le straordina­rie capacità olfattive dei cani.

Diverse ricerche hanno dimostrato che questi animali, adeguatame­nte addestrati, sono in grado di riconoscer­e i pazienti che hanno un tumore (alla prostata, ma anche al colon-retto o al polmone) solo annusandol­i: uno studio dell’humanitas Mater Domini di Castellanz­a ha dimostrato per esempio che l’accuratezz­a della diagnosi canina del tumore alla prostata può arrivare fino al 97 per cento.

I recettori olfattivi dei cani sono migliaia di volte più efficienti di quelli umani e il loro bulbo olfattivo è il triplo del nostro, ma usarli come metodo diagnostic­o standard in clinica non è praticabil­e, non solo per l’oggettiva difficoltà logistica ma anche perché ci può essere differenza nell’accuratezz­a fra un cane e l’altro, o perfino in uno stesso individuo da un giorno all’altro: l’obiettivo perciò è realizzare strumenti che grazie a sensori di gas e algoritmi specifici riescano a riconoscer­e l’odore di malattia in maniera affidabile e ripetibile, «digitalizz­ando» il senso dell’olfatto.

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CDS Così il naso può aiutare nella diagnosi

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