Avere (davvero) «naso» per la salute
La scienza sta cercando di individuare la firma olfattiva specifica di molte condizioni, dal Parkinson al diabete, addirittura ai tumori. Lo scopo è mettere a punto strumenti elettronici appositi per la diagnosi
Che cosa racconta di noi l’odore che abbiamo? Molto più di quello che possiamo pensare, a cominciare dal nostro stato di salute. Lo dimostra la storia di Joy Milne, un’infermiera inglese che si è resa conto di essere in grado di «annusare» il Parkinson: le è successo con il marito, ha iniziato a sentirgli addosso un aroma insolito di muschio umido ben 12 anni prima della diagnosi.
L’infermiera, che fin da piccola si era accorta di essere ipersensibile agli odori e spesso per esempio «fiutava» il diabete nei suoi pazienti riconoscendo il caratteristico aroma dei corpi chetonici tipici della malattia, comprese la correlazione fra l’odore del marito e il Parkinson qualche anno dopo, quando frequentando i gruppi di supporto per i pazienti di Parkinson UK si accorse che tutti i malati avevano il suo stesso sentore.
La vicenda di Joy Milne è più che un aneddoto, perché ha dato il via a ricerche che hanno portato esperti del Manchester Institute of Technology a identificare qualche tempo fa tre composti organici volatili che sono più elevati nei pazienti (eicosano, acido ippurico e ottadecanale e uno, l’aldeide perillica, che invece scarseggia. Sarebbero una specie di «firma olfattiva» della malattia, presente ben prima che il problema si manifesti con i sintomi; studi successivi hanno provato che in condizioni di laboratorio si possono identificare nel sebo umano circa 4mila composti, di cui 500 che si modificano in persone con il Parkinson rispetto a chi è sano.
Così i ricercatori ora vogliono provare il loro test, che in laboratorio ha un’accuratezza del 95 per cento, anche in clinica.
Un «naso» umano o elettronico capace di fiutare le malattie prima ancora che diano sintomi, solo riconoscendo come cambia l’odore del corpo quando qualcosa non va, sarebbe di grande aiuto in moltissimi casi. Mettere a punto un test olfattivo precoce per il Parkinson per esempio sarebbe un successo, perché i segni clinici della malattia arrivano quando ormai è stata persa circa la metà dei neuroni che producono il neurotrasmettitore dopamina.
Iperosmia e Parkinson
Joy Milne, l’infermiera da cui sono partiti gli studi che stanno individuando la firma odorosa del Parkinson, è certamente una persona dotata di iperosmia, in termini semplici è un naso sopraffino che potrebbe fare da «sensore umano» delle malattie: nei tanti test scientifici a cui è stata sottoposta per aiutare gli scienziati a identificare il «profumo» del Parkinson ha sbagliato una volta soltanto a riconoscere i pazienti dai sani solo annusandone il sudore, ma dopo otto mesi ha ricevuto la diagnosi anche l’uomo che secondo lei era malato, stando ai neurologi no.
Questa malattia neurologica non è l’unica a poter essere scovata «a naso»: le ricerche stanno dimostrando che quando ci si ammala il metabolismo cambia, la composizione chimica dei fluidi corporei si altera e così produciamo composti organici volatili specifici e unici, differenti nelle diverse patologie e tali da diventarne una «firma», emettendoli poi attraverso il respiro ma anche tramite la pelle, le urine o le feci.
Un metodo antico
Del resto non è nulla di nuovo: il medico dell’antica Gre- cia Ippocrate diagnosticava malattie del fegato fiutando l’alito dei suoi pazienti e perfino un testo sanscrito di medicina che risale al VI secolo a.c., il Sushruta Samhita, invitava i medici ad annusare i pazienti per fare le diagnosi.
In anni più recenti, odori tipici correlati a specifiche patologie sono stati identificati e sono semplici da individuare perché sono forti, percepibili anche da chi non ha un naso allenato: è il caso del fiato che sa di cavolo cotto in chi ha patologie che comportano l’incapacità di metabolizzare un aminoacido che contiene zolfo, la metionina, o dell’alito fruttato indicativo della chetosi in chi soffre di diabete. Altrettanto riconoscibili sono l’odore di pesce nell’alito di chi ha problemi renali, perché se i reni non funzionano si accumula urea che poi passa nei polmoni e viene esalata col respiro, o quello di muschio dolciastro tipico dell’insufficienza epatica e della cirrosi, che già gli antichi chiamavano «foetor hepaticus».
Anche molte infezioni batteriche comportano la formazione di composti organici volatili odorosi e si potrebbero diagnosticare a naso: gli streptococchi per esempio producono diacetile, una molecola che sa di burro o caramello, mentre gli stafilococchi metabolizzando aminoacidi nel sudore e nel sebo portano al rilascio di acido isovalerico, che «profuma» di scarpe da ginnastica usate o formaggio stagionato; l’acido solfidrico prodotto da Helicobacter pylori nello stomaco fa odorare l’alito di uova marce, l’infezione da candida si riconosce perché etanolo e acetal
deide sintetizzati dal fungo danno una nota odorosa tipica che sa di lievito di birra o pane.
La sfida però è individuare odori ancora più sottili e poco percepibili che si formano nei primi stadi di malattie ancor più serie, come le patologie neurodegenerative o i tumori, così da consentire diagnosi e terapie sempre più precoci: la cosiddetta «volatolomica» è un nuovo settore di ricerca in cui chimici, ingegneri e scienziati dei materiali cercano di individuare la firma olfattiva unica di innumerevoli malattie e di realizzare poi strumenti elettronici in grado di riconoscerle.
«Scoprire» i tumori
Una prima «enciclopedia» dei segnali odorosi di diversi tipi di tumore è stata pubblicata qualche tempo fa su Nanoresearch e proprio sulla diagnosi precoce del cancro si stanno concentrando molti sforzi: in Italia, per esempio, il progetto Diag-nose di Humanitas e Politecnico di Milano ha portato a realizzare un naso elettronico che fiuta nelle urine il tumore alla prostata con un’elevata accuratezza, che negli stadi molto iniziali di malattia è perfino migliore di
Un naso digitale che fiuta nelle urine il tumore alla prostata: si sta provando a realizzarlo in Italia
quella delle consuete biopsie con cui si analizza una parte di tessuto limitata.
Il prototipo sembra in grado di distinguere anche fra tumori a bassa o elevata aggressività: i primi test clinici per validare il metodo sono previsti per quest’anno e si tratta di un progetto che, come molti altri per realizzare nasi elettronici, cerca di imitare le straordinarie capacità olfattive dei cani.
Diverse ricerche hanno dimostrato che questi animali, adeguatamente addestrati, sono in grado di riconoscere i pazienti che hanno un tumore (alla prostata, ma anche al colon-retto o al polmone) solo annusandoli: uno studio dell’humanitas Mater Domini di Castellanza ha dimostrato per esempio che l’accuratezza della diagnosi canina del tumore alla prostata può arrivare fino al 97 per cento.
I recettori olfattivi dei cani sono migliaia di volte più efficienti di quelli umani e il loro bulbo olfattivo è il triplo del nostro, ma usarli come metodo diagnostico standard in clinica non è praticabile, non solo per l’oggettiva difficoltà logistica ma anche perché ci può essere differenza nell’accuratezza fra un cane e l’altro, o perfino in uno stesso individuo da un giorno all’altro: l’obiettivo perciò è realizzare strumenti che grazie a sensori di gas e algoritmi specifici riescano a riconoscere l’odore di malattia in maniera affidabile e ripetibile, «digitalizzando» il senso dell’olfatto.