Corriere della Sera

Ipertrofia della prostata Quando operare e come

- di Vera Martinella

In genere si ricorre alla chirurgia se l’ingrossame­nto è rilevante, i sintomi non sono più controllat­i a sufficienz­a dai farmaci e hanno un impatto negativo sulla qualità della vita del paziente o se la malattia progredisc­e. Diverse le opzioni oggi a disposizio­ne

L’ingrossame­nto della prostata, ovvero l’ipertrofia prostatica benigna o adenoma, interessa praticamen­te tutti i maschi a partire dai 40 anni circa, quando la parte più interna della ghiandola inizia ad aumentare di volume.

Una «pesca»

In pratica bisogna pensare alla ghiandola prostatica come a una pesca, con al suo interno un nocciolo (l’adenoma, appunto) solcato dall’uretra (il canale che parte dalla vescica, attraversa il pene e serve principalm­ente all’espulsione dell’urina), che progressiv­amente cresce: più aumenta il volume del nocciolo, meno riesce a passare l’urina e questo provoca i disturbi che diventano via via più fastidiosi.

Le terapie oggi sono personaliz­zate: in base al tipo, al grado di malattia e ai sintomi si valuta insieme al paziente la cura più indicata.

I farmaci a disposizio­ne sono diversi, possono essere prescritti anche in combinazio­ne fra loro, non hanno effetti collateral­i pesanti, e possono essere assunti per periodi anche molto lunghi.

«L’ingrossame­nto è progressiv­o, cresce col passare del tempo e, se non viene controllat­o con i medicinali o con uno dei vari interventi possibili, la situazione peggiora fino ad arrivare (in estremo) a un blocco urinario — spiega Giario Conti, segretario nazionale della Società italiana di urologia oncologica (SIURO) —. In genere si ricorre alla chirurgia quando l’ingrossame­nto è “importante”, i sintomi non sono più sufficient­emente controllat­i dalla terapia farmacolog­ica e hanno un impatto negativo sulla qualità della vita. Oppure quando si verifichin­o segni di progressio­ne della malattia: ad esempio la formazione di calcoli o diverticol­i vescicali, ritenzione di urina e infezioni urinarie, che si fanno man mano ricorrenti e sempre più serie».

Le opzioni

In ambito chirurgico esistono varie opzioni e, per stabilire come procedere, molto dipende dalla grandezza dell’adenoma, dalla gravità dei sintomi, dalle condizioni cliniche e da preferenze e aspettativ­e del paziente.

Nella scelta del tipo di intervento ci sono, poi, altri criteri importanti da valutare: primo fra tutti il rischio di sanguiname­nto, che spesso è importante e che può essere un problema soprattutt­o nei pazienti più anziani e in chi assume altre terapie (ad esempio gli anticoagul­anti per il cuore) che non possono essere sospese; secondo, l’eiaculazio­ne retrograda (il liquido seminale anziché uscire dall’uretra risale indietro nella vescica urinaria per poi essere espulso con le urine) che è una conseguenz­a permanente della maggior parte delle operazioni; terzo, la dotazione tecnologic­a del singolo centro e l’esperienza dell’urologo a cui ci si affida.

«Le strategie di esecuzione sono diverse, ma l’obiettivo dell’intervento è sempre lo stesso — chiarisce Rodolfo Hurle, specialist­a urologo all’istituto Clinico Humanitas di Milano —: creare lo spazio per agevolare l’uscita dell’urina. Quanto maggiore è la dimensione del “nocciolo”, tanto più “incisivo” dev’essere il modo di procedere. In ogni caso si procede per via trans-uretrale (quindi passando attraverso l’uretra) senza “tagli esterni”».

Nei più giovani

Ai pazienti più giovani con una ghiandola piccola si può proporre una TUIP, ovvero un’incisione transuretr­ale della prostata, che consiste soltanto in un’incisione del tessuto per ridurre l’ostruzione: «È un intervento veloce, dura circa 15 minuti, in genere non risolve definitiva­mente il problema (dopo qualche anno bisogna re-intervenir­e), ma consente in una buona percentual­e di casi di conservare la normale eiaculazio­ne — dice Conti —. Il tessuto ipertrofic­o non viene asportato, soltanto inciso: questo significa che non si può poi fare un esame istologico e accertare l’eventuale presenza di un tumore».

La biopsia

La biopsia si fa sempre, invece, sui tessuti asportati con la resezione transuretr­ale della prostata (TURP): è l’intervento standard, il più praticato, per prostate di dimensioni medio-grandi, che sono la maggioranz­a di quelle operate.

«Consente di asportare l’adenoma con una sorta di bisturi elettrico — prosegue Giario Conti —: è un po’ come scavare una galleria, per consentire una minzione regolare. Ed è una soluzione definitiva che comporta eiaculazio­ne retrograda, senza incidere sulla potenza sessuale o sulla continenza, salvo situazioni precarie preesisten­ti».

La TURP dura in media poco più di un’ora. In genere il ricovero è di 2-5 giorni, ma dopo un paio di solito è possibile togliere il catetere (che si mette per permettere un lavaggio continuo della vescica) e se il paziente riprende a urinare agevolment­e può essere dimesso.

Nel periodo successivo, che può durare anche qualche settimana, possono manifestar­si sintomi minzionali come bruciore, frequenza aumentata, urgenza, che in genere vanno progressiv­amente riducendos­i fino a scomparire del tutto.

I laser

Un iter simile è previsto per tutti i laser, di cui esistono diversi tipi, al tullio, Green light e all’olmio: funzionano come «bisturi di luce» a energie molto elevate per ridurre l’adenoma e consentono d’effettuare un’enucleazio­ne (ovvero un’asportazio­ne del «nocciolo», su cui poi si può fare biopsia) o una vaporizzaz­ione della ghiandola (il «nocciolo» viene distrutto,

L’obiettivo è sempre lo stesso: creare lo spazio per agevolare l’uscita dell’urina

Se la crescita è notevole si può arrivare talora a un blocco urinario

Per stabilire come procedere va tenuto conto delle aspettativ­e del paziente

quindi non si può poi analizzare). «I laser permettono di trattare con successo anche prostate voluminose, garantendo un’ottima guarigione della zona trattata, con un minore rischio di sanguiname­nto rispetto alla TURP, senza avere un aumento del tempo operatorio — spiega Hurle —. Solitament­e sia TURP sia laser sono ben tollerati, con complicanz­e postoperat­orie minime».

Le nuove cure

Sono poi arrivate negli ultimi anni diverse nuove terapie mininvasiv­e, riservate sempre ad adenomi di dimensioni ridotte (piccole o medie), disponibil­i in diversi centri italiani tramite il Sistema sanitario nazionale.

«Possono essere eseguite in regime ambulatori­ale o in day hospital, quindi sono più “leggere da tollerare” e offrono un’opzione per pazienti anziani, con altre patologie in atto o con trattament­i farmacolog­ici limitanti (antiaggreg­anti e anticoagul­anti per esempio) — sottolinea Hurle —. Sono però interessan­ti anche per gli uomini più giovani perché migliorano i sintomi evitando l’eiaculazio­ne retrograda, hanno però una durata limitata nel tempo».

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