«Il mio lavoro distrutto E ho temuto di ammalarmi come successe a Tortora»
Claudio Foti, lo psicologo del caso Bibbiano, dopo l’assoluzione
«Quando mi hanno arrestato, il giorno in cui stavo per partire per il sentiero degli Dei con i miei figli, la prima persona a cui ho pensato è stato Enzo Tortora. Fin da subito ho preso precauzioni, soprattutto di tipo psicologico, perché ho sempre avuto la preoccupazione di ammalarmi: conosco e l’ho studiato lo stress da ingiustizia giudiziaria. È una delle forme più logoranti». A parlare è Claudio Foti, psicoterapeuta al centro del cosiddetto caso Bibbiano sui presunti affidi illeciti, assistito dall’avvocato Luca Bauccio: la Corte di cassazione ha ribadito la sua assoluzione, dichiarando inammissibili i ricorsi con conseguente irrevocabilità della sentenza di assoluzione in Appello dai reati di abuso d’ufficio, per non avere commesso il fatto, e di lesioni gravi, perché il fatto non sussiste.
Claudio Foti, come sta? Cosa ha provato dopo la notizia dell’assoluzione?
«Razionalmente sapevo che sarei stato assolto, perché le accuse erano totalmente infondate e deformanti rispetto a quello che è stato il mio lavoro di 40 anni. Ho dedicato la vita all’ascolto della sofferenza dei bambini e degli adulti: l’accusa di aver fatto del male a una ragazza era fuori dalla realtà. Tuttavia, quando c’è una persecuzione mediatica e politica di questo tipo, non si può che essere preoccupati. L’assoluzione è stato un momento di sollievo e di felicità».
Ci sono ancora, comunque, 17 persone a processo con rito ordinario. E quasi tutti i bambini sono tornati alle famiglie d’origine: secondo lei il caso Bibbiano è stato solo un’invenzione?
«Scelgo di non entrare nel merito del processo ancora in corso, una cosa però la so: sono state coinvolte persone che hanno dato tutto per il lavoro di prevenzione e contrasto della violenza sui minori. Sono persone sincere, attaccate al loro lavoro, efficienti, sensibili e che godevano della fiducia anche del tribunale per i minori».
Quindi è più convinto che sia stato tutto un errore?
«Secondo me sì. Sono convinto che verrà fuori quanto queste persone abbiano sempre lavorato in buona fede e mi auguro che emerga la qualità personale e professionale di tutte loro».
Questi anni che impatto hanno avuto sulla sua vita?
«C’è stata la distruzione della mia immagine professionale, il 95% del mio lavoro è venuto meno, a partire dall’attività di formazione che ho sempre svolto in giro per l’italia. Il centro studi Hänsel e Gretel è rimasto senza richieste e, dunque, si è sciolto, ma è stata dura anche sul piano personale perché, mio malgrado, sono diventato una delle persone più infangate e deturpate sul piano mediatico degli ultimi anni. Su di me è stato detto di tutto: che inseguivo i bambini per spaventarli, che facevo l’elettroshock».
Quando c’è una gogna mediatica e giudiziaria di questo tipo non si può che essere preoccupati Adesso sto vivendo un momento di sollievo
Tutto questo caso è stato un errore Anche le persone tuttora a processo hanno sempre lavorato in buona fede
C’è un trauma collettivo dopo Bibbiano: gli operatori dei servizi sociali vengono guardati ormai come potenziali demoni
Qual è stato il timore più grande?
«Dopo l’arresto ho sempre avuto in testa Enzo Tortora, con il timore dell’esito nella malattia. Lo stress da ingiustizia giudiziaria è una delle forme più logoranti, specie se coltivato insieme a risentimento e sfiducia nel poter ricevere una riparazione».
Che cosa l’ha salvata?
«La mia autostima, i miei valori e la rappresentazione che ho sempre conservato di me stesso. E le persone che mi sono state vicino, ovvero i miei ex pazienti, coloro che mi hanno visto concretamente lavorare. Alcuni di loro, anche dopo la condanna in primo grado, hanno mantenuto davvero una solida fiducia nella mia persona. Mi sono anche protetto, per esempio, non leggendo più i giornali per certi periodi. Tuttavia ho sofferto, ho pianto tanto, ma sono sopravvissuto imparando dalla sofferenza».
Ci sono state ripercussioni nel mondo dei servizi sociali, delle famiglie affidatarie?
«Assolutamente sì. Si può parlare di “trauma collettivo di Bibbiano”: gli operatori della tutela vengono guardati da una parte dell’opinione pubblica con diffidenza, come fossero potenziali demoni, ma anche le famiglie affidatarie vengono guardate con sospetto; e la disponibilità a diventarlo è diminuita moltissimo, almeno a Reggio Emilia. Ciò significa minor disponibilità a prendersi in carico altri bambini e ad aiutare altre famiglie».
Come ricostruirà la sua vita?
«Ci tengo al risarcimento culturale e ripartirò con la capacità di tenere a bada la rabbia. Spero possano contare in questo senso anche i tre libri che ho scritto in questi cinque anni: il primo uscirà a maggio e il suo titolo è Lettere dal trauma. Dal dolore alla speranza».