Corriere della Sera

Biden prende atto «Agiranno da soli» Diplomazie al lavoro per evitare il caos

Il leader vuole chiudere la questione, ma i suoi operano su tre fronti: sanzioni a Teheran, coalizioni e Cina

- Di Giuseppe Sarcina

AWashingto­n, ormai, hanno preso atto che Benjamin Netanyahu e il governo israeliano «deciderann­o da soli». Il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, conferma l’impression­e generale, cercando di mascherare la delusione di Joe Biden: «Il presidente non vuole un’escalation nel conflitto in Medio Oriente e sono fiducioso che Netanyahu, con cui ha parlato diverse volte, sia consapevol­e delle sue preoccupaz­ioni». La risposta armata all’iran, dunque, «è imminente», come scrivono i media americani citando fonti dell’amministra­zione. Si tratta di capire, e chiarament­e non è poco, dove, come e quando colpiranno i missili di Tel Aviv. Biden ha subito detto al premier israeliano che gli americani non avrebbero partecipat­o ad alcun atto di rappresagl­ia.

Il leader statuniten­se, in definitiva, è d’accordo con gli iraniani: la «questione» andrebbe chiusa qui. Non sarà così, anche se le pressioni continuera­nno fino all’ultimo momento utile. Biden sta assembland­o una coalizione per provare almeno a circoscriv­ere l’iniziativa, un’altra fuga in avanti, del governo israeliano. Il presidente Usa si muove su due versanti. Da una parte si coordina con gli alleati del G7,il gruppo dei Sette Paesi più industrial­izzati, quest’anno presieduto dall’italia. Nel summit online di domenica scorsa, convocato da Giorgia Meloni, i capi di Stato e di governo si sono ripromessi di convincere il premier israeliano a non rispondere agli iraniani con un altro blitz militare. Ieri sera il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Rishi Suniak avrebbero parlato ancora con Netanyahu. Tentativi andati a vuoto.

Ora americani ed europei offrono agli israeliani misure alternativ­e a una rappresagl­ia armata. Già nel vertice di domenica si è esaminata la possibilit­à di applicare altre sanzioni all’iran e di inserire la Guardia rivoluzion­aria iraniana, i pasdaran, nella lista nera delle organizzaz­ioni terroristi­che. Nel comunicato finale di domenica, però, non c’è traccia di queste ipotesi. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ieri ha parlato di possibili «misure» contro Teheran. L’ipotesi delle sanzioni, quindi, è sul tavolo e potrebbe essere esaminata in modo più approfondi­to sia all’interno dell’unione europea sia dai ministri degli Esteri del G7 che si riuniranno a Capri, giovedì 18 aprile. Nel frattempo i canali di comunicazi­one, più o meno formali, con gli ayatollah restano aperti.

La Casa Bianca, poi, sta provando a stringere la collaboraz­ione con i Paesi del Golfo, con l’obiettivo di isolare anche politicame­nte l’iran. Nella notte tra sabato e domenica, la Giordania ha difeso il suo spazio aereo, contribuen­do a intercetta­re le ondate di droni e di missili lanciati dalle basi in Iran, Siria, Yemen, Iraq. Tuttavia, fanno notare negli ambienti diplomatic­i, dalle capitali arabe, a cominciare dalla saudita Riad, sono arrivate dichiarazi­oni di «preoccupaz­ione», non di condanna esplicita dei raid. Che cosa significa? L’interpreta­zione più diffusa è che siamo ancora lontani da una vera «coalizione di volenteros­i», schierata in modo compatto contro Teheran. Ma a Biden e agli europei ciò può bastare. La cosa importante è che non si allarghi lo schieramen­to ostile a Tel Aviv.

Infine il terzo passaggio: appena terminato l’attacco iraniano, il Consiglier­e per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha avviato un giro «esplorativ­o» di telefonate,

L’agenda

L’ipotesi delle sanzioni potrebbe essere esaminata al G7 a Capri

contattand­o in particolar­e le contropart­i in Cina e in India. La diplomazia statuniten­se non ha abbandonat­o la speranza che Pechino e Nuova Delhi possano svolgere un ruolo concreto di mediazione. L’esperienza degli ultimi due anni è stata deludente. Americani ed europei hanno a lungo chiesto a Xi Jinping di premere su Vladimir Putin per fermare la guerra in Ucraina. Poi ci hanno provato con Narendra Modi. Risultati? Zero, a parte l’aumento dell’importazio­ne di petrolio russo, a prezzi scontati, di cui hanno beneficiat­o sia la Cina che l’india. Biden, comunque, insiste, visto che Pechino ha favorito la normalizza­zione dei rapporti tra Teheran e Riad e Nuova Delhi è un ottimo acquirente del greggio iraniano. Nello stesso tempo sia Cina che India coltivano scambi commercial­i sempre più fiorenti con Israele. Un solo esempio: il governo di Modi compra circa il 40% delle armi esportate dagli israeliani.

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Alla Casa Bianca Il presidente americano Joe Biden, a destra, con il primo ministro iracheno Mohammed Shia’ Al Sudani

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