Il cecchino diventato generale: l’uomo che ha guidato l’attacco
Hajizadeh comanda dal 2009 la divisione aerospaziale di Teheran. Ha combattuto gli iracheni
Amir Ali Hajizadeh è lo stratega dell’arma aerea iraniana, l’ufficiale che da lungo tempo guida la Divisione aerospaziale dei pasdaran e che ha diretto, insieme ad altri, la ritorsione contro Israele.
Nato vicino alla capitale nel 1961, ha combattuto contro gli iracheni tra i ranghi di un reparto speciale. Tiratore scelto, poi passato all’artiglieria, quindi incarichi all’interno di un dispositivo che stava nascendo stretto tra sanzioni e difficoltà. La svolta nella sua carriera è determinata dall’incontro con Hassan Moghaddam, incaricato dal regime di sviluppare la componente missilistica. Un articolo sostiene che è stato lui a inserire Hajizadeh in una missione di training sull’uso di Scud B di origine libica inviati in Siria e condivisi, nell’addestramento, con una piccola unità di pasdaran, la Hadid. Siamo nel 1984. Da allora il percorso dell’ufficiale procede con nomine, gestione di progetti. Militari e scienziati sono spronati nella ricerca, acquisiscono tecnologia all’estero — uno dei fornitori è la Nord Corea —, gettano le fondamenta di un’industria locale per produrre «in proprio» l’arsenale. Infatti, nonostante un quadro internazionale poco favorevole, i guardiani riescono ad ampliarlo lungo diverse linee: sviluppo di vettori con un raggio di almeno 2 mila chilometri, realizzazione di numerose «categorie» di ordigni, messa a punto di droni, protezione dei siti in modo che possano resistere ad un eventuale blitz nemico. Un cammino tortuoso, rallentato da ostacoli, malfunzionamento dei «pezzi», sabotaggi e incidenti non sempre spiegabili con la cattiva sorte. Ne è la prova più evidente la morte dello stesso Hassan Moghaddam, dilaniato da un’esplosione all’interno di una base dove si facevano ricerche sul missile Shehab 3, anche questo «influenzato» da idee nordcoreane.
In una nuova sistemazione delle gerarchie, Hajizadeh passa al vertice dell’aviazione nel 2009 e continua a curarne l’espansione pensando allo scudo e alla lancia. Per difendere il territorio nazionale, allargare le capacità, fornire mezzi adeguati alle milizie sciite in Medio Oriente. Due anni dopo gli iraniani riescono ad abbattere un sofisticato drone americano, L’RQ 170, noto come «Bestia di Kandahar», nomignolo legato a un suo avvistamento sulla pista della città afghana. Lo catturano intatto e ne produrranno una loro versione poi schierata sul campo. I pasdaran si preoccupano di costruire grandi bunker dove ospitare gli armamenti strategici, nasce la cosiddetta «città dei missili».
Non tutto però brilla nel ruolino dell’ufficiale. Gli israeliani sono riusciti in alcune occasioni a violare il cerchio di protezione, il materiale non è sempre valido e l’8 gennaio 2020 una sua «batteria» ha abbattuto un jet passeggeri ucraino (176 le vittime) nei pressi di Teheran, aereo scambiato per nemico. Facile comprendere perché Hajizadeh sia stato citato pubblicamente da Tel Aviv come un personaggio decisivo, al punto che qualcuno lo ha indicato persino come possibile target di un omicidio mirato.
Il suo nome è stato associato all’operazione «Vera Promessa», ritorsione che ha fornito spunti interessanti: la coalizione ha intercettato circa 300 tra missili e droni, la metà dei 150 ordigni balistici è caduta in volo per possibili avarie, nove però hanno raggiunto due basi militari nel Sud di Israele. Bilancio positivo per chi si difendeva ma ottenuto anche grazie a un dispositivo già in allarme, con il coinvolgimento di numerosi Paesi. Cosa accadrebbe con un assalto a sorpresa e con numeri ancora maggiori? La risposta non è scontata, per questo gli esperti invitano a non sottostimare l’iran.