Io, vedova di Nassiriya: oggi vivo per l’africa
Margherita Coletta ha perso il marito Giuseppe nell’attentato del 2003 L’anno dopo ha fondato una associazione impegnata in Burkina Faso Orfanotrofio, pozzi d’acqua, scuole: «Oltre il dolore c’è tanto da fare»
«Non è come il primo giorno. Il dolore si calma un po’, ma rimane». Le ricorda la sua presenza il carattere della figlia Maria, «la stessa testardaggine, anche se non l’ha mai conosciuto», mentre il promemoria della sua assenza è una data. Il 12 novembre 2003 ha solcato la memoria del nostro Paese e ha stravolto la vita di Margherita Coletta. Suo marito Giuseppe, brigadiere dei Carabinieri, viene ucciso a Nassiriya nell’atten- tato alla base italiana Maestrale, insieme ad altri dodici Carabinieri, cinque soldati dell’esercito e due civili italiani, oltre a nove civili iracheni. «Ora, a distanza di vent’anni, posso dire, però, che non sono affatto una sopravvissuta». Le sono testimoni i giorni, le settimane, i mesi e gli anni che hanno seguito quella morte. E una vita, nata tra le sue mani senza averla caparbiamente cercata.
Una breccia nuova
«A più riprese venivano a trovarmi a casa amici, persone, molto o poco familiari, e quasi tutti mi ripetevano un invito: creare un’associazione in ricordo di Giuseppe». Solo la forte insistenza ha potuto aprire una breccia nuova, l’associazione «Giuseppe e Margherita Coletta. Bussate e vi sarà aperto» perché, dice, «solo quello che doniamo non va mai perduto». L’attenzione ai piccoli è il timbro che caratterizza ogni passo. E così, seme dopo seme, dall’anno della costituzione, ottobre 2004, il bene è germogliato in Burkina Faso, dove un orfanotrofio ora ospita decine di bambini. Ma non solo: un refettorio, nove pozzi per l’acqua e, a breve, una scuola. A Gibuti banchi, sedie e cattedre, donate dall’associazione, hanno popolato i locali dove oggi centinaia di ragazzi imparano a leggere e scrivere. «Il mondo non è limitato alla nostra casa, al nostro quartiere o al nostro Paese. C’è tanto altro lì fuori». Lo dice una donna vedova, che già prima aveva perso un figlio di 6 anni: per capire come sia possibile ricominciare a vivere dopo il dolore bisogna allora fare un passo indietro e ripercorrere quelle ore.
«Verso le otto di mattina ero uscita di casa per portare mia figlia Maria dal pediatra. Ero agitata, avrei dovuto essere felice perché il ritorno di Giuseppe era imminente e, invece, da giorni ero molto turbata e non capivo il perché». Margherita Coletta inizia così il racconto di quel 12 novembre 2003 e prosegue: «Appena salita in macchina arrivano le prime telefonate, mi chiedono cosa sia successo in Iraq, lì dove mio marito era in missione di pace». Fa inversione di marcia, torna nell’alloggio di servizio che l’arma dei Carabinieri assegna alle famiglie dei suoi uomini. Accende la televisione in cerca di notizie, il telefono squilla e poi vede un colonnello dei Carabinieri che le si avvicina: «Ricordo che mi sono accasciata, poi più nulla». Cerca di mettere ordine nei frammenti di memoria. Racconta una delle ultime telefonate con il marito Giuseppe, che era così fiero di portare i giochi ai bambini di quella terra servendo l’arma. Di lui l’aveva affascinata anche quella fierezza. Ma quella volta, al telefono, «è il momento in cui l’ho amato di più in tutta la nostra vita. Parlava dei suoi compagni e ne esaltava i pregi, chi sapeva molte lingue, chi era bravo in un altro aspetto. Di sé mi ha detto “solo io non sono nessuno qui” con così tanta umiltà da innamorarmi ancora».
Il contesto
Poche ore dopo è morto. E di quei momenti concitati dopo l’annuncio, Margherita ricorda la presenza di alcuni giornalisti. «Non so cosa stessi cercando, ho preso in mano la Bibbia e a un certo punto tra me e me ho letto: “Fu detto amerai il tuo prossimo e odierai il nemico. Ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”». Da quel momento Margherita Coletta per i giornali e le televisioni diventa un titolo: «La vedova Coletta perdona». «Non capivo perché tanto clamore, troppo, sembravano parole mai sentite. All’inizio pensavo di aver sbagliato a parlare, poi mi sono accorta che in quel contesto il rancore avrebbe chiamato il rancore. Invece quella frase era vera, era la mia storia».
Giuseppe e Margherita Coletta, infatti, avevano già dovuto attraversare assieme un pezzo di strada molto ripido. Prima della nascita di Maria, nella loro casa aveva vissuto Paolo, il loro primo figlio. Un giorno accusa un male persistente alla pancia e solo sei mesi dopo muore a causa di un linfoma: «Abbiamo ricominciato insieme alla ricerca di un senso. E ho vissuto la stessa esperienza anche quando è morto Giuseppe. Non ci si può fermare perché, se non c’è qualcosa oltre, la vita stessa diventa banale».
«Mai fermarsi» Già prima un linfoma le aveva portato via un figlio: l’aiuto agli altri contro la sofferenza