Lo sguardo di Tecla e le Cento ripartenze di nonno Giorgio
Lei ha 11 anni e una malattia rara per cui non parla Lui ha raccolto in un libro la sua e altre esperienze «Io la vedo per quella che è, non per cosa sa fare»
La chiamano la sindrome delle bambine dagli occhi belli. E Tecla ha due occhi bellissimi, neri, profondi, comunicativi. Del resto, è con gli occhi che lei «parla» con il mondo. Tecla ha 11 anni e la sindrome di Rett, malattia genetica rara che colpisce soprattutto le bambine, una ogni 10mila. La malattia porta a una graduale regressione e perdita delle abilità acquisite nei primi anni di vita come il camminare, i gesti coordinati, il linguaggio verbale. La diagnosi precisa, Rett-like syndrome, è arrivata quando Tecla
aveva 6 anni: ma che qualcosa non andasse si è capito fin dalla nascita per le crisi epilettiche, il ritardo motorio e cognitivo, nessun tentativo di dire «mamma» o «papà». Il mondo di Tecla è «senza parole» come scrive suo nonno, Giorgio Paolucci, editorialista di Avvenire che ha riassunto in 1300 battute la storia della nipote nella rubrica «Ripartenze», diventata un libro (Cento ripartenze. Quando la vita ricomincia, Itacalibri).
«Tecla è la mia ripartenza spiega Paolucci- perché nella mia carriera ho scritto tanto di disabilità, ma ora la vivo nel quotidiano e Tecla mi ha insegnato che lei non è riducibile alle sue abilità: vale molto più di quel che è capace di fare. È una creatura fragile, amata da Dio e da tutti noi, che chiede amore senza condizioni». Nonostante la malattia Tecla cammina e corre a modo suo, frequenta la scuola, è curiosa, è la beniamina di tutti all’istituto Comprensivo di via Palestro ad Abbiategrasso dove vive coi genitori e due fratelli.
La famiglia
I suoi insegnanti, il nonno, gli amici di mamma Elisa e papà Simone si stanno mobilitando per lei e hanno corso in dieci staffette la Milano Marathon per raccogliere fondi da usare per progetti e attività che l’aiutano a conquistare piccole autonomie, a comunicare emozioni e bisogni,
Anche se Tecla non parla sa farsi capire benissimo: i genitori le hanno prima costruito un quadernone usando il metodo della comunicazione aumentativa e alternativa, con foto di famiglia, luoghi noti, simboli. Poi il quaderno è diventato un tablet: «Ci ha sorpreso - spiega papà Simone Paolucci - perché adesso è lei stessa a comunicarci quello che vuole. Un giorno ha selezionato la mia foto e la bicicletta, era chiaro che volesse fare un giro in bici. Impazzisce per la musica, adora il Festival di Sanremo, ha una passione in particolare per Gianni
Morandi che siamo riusciti a incontrare».
La settimana di Tecla è piena, perché lei vive meglio con una routine di attività che si ripetono di settimana in settimana. Proprio questa sollecitazione continua le ha permesso di non aver regressioni, anzi di conquistare poco alla volta piccole autonomie come mangiare da sola, salire le scale, emettere un suono che pare un «ciao ciao». Sul tablet vede l’agenda della giornata: la scuola, le attività musicali e motorie al centro socio-educativo la Ruota di Parabiago, le attività cognitivo-comportamentali all’associazione Tice di Piacenza, il laboratorio Dynamo City a Milano dove va con il nonno. «Quando mi presento a casa il venerdì - racconta Paolucci mi corre incontro e mi abbraccia. Lungo la strada tra Abbiategrasso e Milano ci guardiamo dallo specchietto retrovisore dell’auto e i suoi occhi sorridono. Con lei ho imparato l’importanza degli sguardi, sei guardato per quello che sei, non per quello che sai fare. Io la guardo e prego perché sia felice. Si può essere felici anche senza parole, ora lo so».
Incontri
Se la storia di Tecla è la «ripartenza» personale di Giorgio Paolucci, il suo libro ne racconta altre 99: storie diverse che nascono da incontri professionali o tra i detenuti del carcere di Opera dove è volontario. «Non siamo infrangibili - dice - e ognuno nella propria vita può ritrovare momenti più o meno grandi di difficoltà: una malattia, un lutto, il buco nero della dipendenza, il carcere, la perdita del lavoro. Racconto storie di persone che hanno vissuto la loro ripartenza grazie all’incontro con testimoni di speranza che li hanno aiutati a scoprire uno sguardo positivo sull’esistenza, a maturare la consapevolezza che tutti abbiamo un valore che non dipende dalle nostre performance. Come è accaduto a me, nell’incontro con gli occhi di Tecla».
Felici senza parole «Non siamo infrangibili, tutti abbiamo un valore molto più grande delle nostre performance»