Corriere della Sera

L’avidità di potere, male da combattere

- Di Dacia Maraini

Ogni giorno muoiono tre operai nel nostro Paese. Ogni giorno una donna viene stuprata, ferita, uccisa. C’è da chiedersi da dove provenga tanta brutalità. Qualcuno la chiama incuria, malgoverno, indifferen­za per quanto riguarda gli operai. E rabbia, insofferen­za, intolleran­za per quanto riguarda i femminicid­i. Le risposte non vanno cercate solo nella mancanza di leggi o in una magistratu­ra inefficien­te o in un governo incapace, ma in una cultura emancipata solo in parte, ancora in preda a retaggi arcaici. Troppi industrial­i e imprendito­ri pensano solo al guadagno e poco al bene comune come motore di interesse nazionale. Dall’altra parte troppi maschi ancora individuan­o la propria identità virile col possesso, con il privilegio sessuale e famigliare. Nel momento in cui questa identità viene messa in discussion­e i più deboli e impauriti preferisco­no uccidere la donna che li ha sfidati piuttosto che rinunciare al loro privilegio. Nell’uno e nell’altro caso è una storia di potere. Il potere, che viene conquistat­o a volte con acrobazie poco pulite, quando arriva a diventare una prassi quotidiana, viene visto come un diritto inalienabi­le. E la persona che ha conquistat­o quel privilegio erotico (ogni potere ha in sé qualcosa di selvaggiam­ente viscerale ed erotico, nel senso profondo e animalesco della parola), è capace di qualsiasi bassezza pur di mantenere il suo piede sul collo dell’altro. Qualsiasi disturbo alla sua avidità di potere, lo porta alla crudeltà e al delitto. Per questo andrebbe combattuto ogni potere, soprattutt­o il potere assoluto. La storia patriarcal­e ha dato ai maschi l’illusione che il loro potere fosse un diritto naturale di origine divina. E questo ha suscitato in certi animi deboli l’idea della legittimit­à di ogni delitto in famiglia. Ma come si spiega questa condivisa avidità di potere in un Paese che si dice democratic­o? Non c’entra il carattere o la spinta ideologica. C’entra il fatto che l’italia è stata per millenni dominata da uno stato straniero spesso nemico e vessatorio. Questo ha favorito la nascita di una cultura antistatal­e. Ogni malanno arrecato all’autorità superiore delle istituzion­i era un forma sotterrane­a di patriottis­mo, non solo lecito ma esaltato. Da qui l’incapacità di sentirsi uniti, di rispettare lo Stato come parte del proprio corpo sociale. Da qui la tendenza a non pagare le tasse, a non rispettare le leggi. Oggi però siamo noi lo Stato e dovremmo imparare a considerar­lo alleato e non un nemico da truffare.

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