Corriere della Sera

L’ultima mano di poker Ma la posta in palio non è fatta di dollari

- Di Roberto Saviano

Il tizio si chiama Lou, lavora in uno studio contabile, e questo fa riflettere, perché non sembra molto bravo a contare il denaro. Non il proprio, almeno. Gli sono rimasti cento dollari, che non sono pochi in assoluto, ma lo sono consideran­do le puntate della serata. Al tavolo si vola alto. È il poker settimanal­e che Lou si concede con gli amici e che segue le partite dei weekend nelle sale di Atlantic City, dove il gioco d’azzardo è legale.

L’hanno capito tutti che Lou è malato. Adesso stanno per capire fino a che punto.

La serata era iniziata bene, la fortuna girava nel verso giusto, che era quello di Lou. Poi le cose si sono messe male. Ha perso, perso, e perso ancora.

Ogni tanto i suoi denti battono emettendo uno schiocco secco e l’unghia dell’indice si accorcia ancora un po’. Fra poco arriverà alla carne del polpastrel­lo. Gli converrebb­e cambiare dito, ma l’unghia del pollice è andata esaurita durante le mani precedenti, insieme con il suo denaro. Certo, potrebbe passare a rosicchiar­si il medio, ma non vuole che i compagni lo guardino mentre s’infila in bocca il dito lungo. Siccome con l’altra mano tiene le carte, non gli resta che saltare all’anulare. E così fa. Ma è comunque ridicolo. Sembra che voglia imitare il gesto della cornetta. È chiaro, è arrivato alla frutta. Ed è per misericord­ia che uno dei presenti si alza e dice: «Ultima mano, ok?». Gli altri annuiscono. Malvolenti­eri, annuisce anche Lou: «Ultima mano».

Il tizio di fronte a lui dà le carte, Lou le scopre con parsimonia, gli piace così. Da giocatore esperto qual è, riesce a trattenere un sorriso, e anche l’entusiasmo mentre dice: «Servito». Ha tre donne e due jack. Un bel full. Questa è la provvidenz­a divina. Forse riuscirà a tornarsene a casa con lo stesso denaro con cui si era seduto al tavolo. O magari, se qualcuno fra i presenti è abbastanza scemo da rilanciare, potrebbe addirittur­a mettersi in tasca un bel gruzzolo. Lou getta sul tavolo i suoi ultimi cento dollari.

Ecco uscire di scena il primo, che passa. Gli altri due sono abbastanza scemi, evidenteme­nte. Uno dice: «Vedo», è un venditore di auto usate di Belleville, nel New Jersey. Non è ricco, ma non gli manca niente. L’altro, invece, dev’essere proprio un idiota, perché rilancia di cinquecent­o dollari. È uno dei ragazzi dei Decavalcan­te, l’affiliazio­ne alla mafia deve avergli dato alla testa, vorrà fare a chi ce l’ha più grosso. Problemi suoi. Il problema di Lou, invece, è che i cinquecent­o non ce li ha.

Con i Decavalcan­te non si scherza. Lou lo sa, ogni tanto fa qualche lavoretto per loro, si occupa di conti, dà dritte finanziari­e, ricicla qualche soldo. Mai più di questo, perché sanno con chi è imparentat­o. Uno con i parenti che ha lui non potrà mai diventare uomo d’onore. Pazienza.

Gli altri lo guardano e aspettano di vederlo col culo per terra. Anche il venditore d’auto ha messo i suoi cinquecent­o. E ora? Fai il bravo, Lou, stanno pensando, tornatene a casa, domani è un altro giorno, magari ti andrà meglio. Ma lui non ha la minima intenzione di perdere così, con quel full in mano, solo perché ha finito la benzina.

Continua a rosicchiar­si l’anulare. Non vorrebbe, lo sa che è un segnale di cedimento, ma non riesce a evitarlo. Deve concentrar­si su qualcosa che non sia la faccia di quelle due carogne.

«Avanti, Lou. Non abbiamo tutta la notte. Ce li hai o non ce li hai? Se non ce li hai» si guardano fra loro «ce la vediamo fra noi due».

«Ce li ho».

«E dove cazzo stanno?».

«Aspetta».

«Io non aspetto più un cazzo» fa il tizio dei Decavalcan­te. «Due minuti e mi prendo il piatto». «Calma» fa quello delle auto «al massimo ce la giochiamo io e te». L’altro scrolla le spalle.

Due minuti per grattare il fondo del baule e vedere se ne esce qualcosa. Lou si toglie il dito di bocca e porta la mano alla tasca dei pantaloni per sfilare il portafogli.

«Cosa speri di trovarci? Chiudiamol­a qui, forza».

«Fatti i cazzi tuoi». Lou apre il portafogli di pelle, che ormai è curvo e sottile come l’unghia di un alluce, e cerca qualcosa all’interno. Quello dei Decavalcan­te batte la mano sul tavolo, che sobbalza. Poi sbuffa e scuote la testa. «Che vuoi giocarti, la tessera di Wine & Spirits?». Lou non risponde, spalanca bene il portafogli, con le dita fruga fra i lembi. Qualcosa, nella sua espression­e, è cambia to. Ha avuto un’idea. Forse non tutto è perduto. Forse ha ancora una carta da giocare, una fiche da sbattere sul tavolo. O forse, come dice quel tipo, è solo la tessera punti del negozio di liquori.

I ragazzi si guardano fra loro. Magari ha trovato qualche biglietton­e e si sono sbagliati, pensano. Figuriamoc­i, non è possibile. Li avrebbe già tirati fuori da un pezzo. Lou è uno svelto, ci mette passione quando si tratta di andare in malora. Di soldi non ne ha più. Era un uomo dalle mille risorse, ne ha bruciate novecenton­ovantanove. Quella che gli è rimasta, però, la desiderano tutti i ragazzi seduti intorno al tavolo. Lui lo sa. È il suo tesoretto. La sua ultima fiche è la foto della moglie. La estrae dal portafogli e la lancia sul panno come se fosse un biglietto da cento, né più e né meno. Mi gioco lei. Fatemi vedere se c’è ancora qualcosa da ridere.

Al tavolo

Lou è rimasto senza il becco di un quattrino, ma nel portafogli trova una risorsa preziosa

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