«Ero in aereo con la squadra ho vissuto attimi terribili: dolore forte, ti manca l’aria»
Se ci ripenso mi sento una persona fortunata Ho ripreso a giocare sono qui e sto benissimo, come starà anche Ndicka tra qualche giorno
«È stato il momento più brutto della mia vita, ho avuto paura di morire». Christian Maggio, ex terzino, tra le altre, di Sampdoria e Napoli, oggi collaboratore tecnico della Nazionale Under 15, ha un ricordo molto vivo di ciò che successe nel 2014, quando gli fu diagnosticato uno pneumotorace. Aveva 32 anni.
«Prima di capire cosa mi stesse succedendo — racconta — ho pensato al peggio. In quei momenti lì, il dolore al petto è forte e ti manca il respiro. La mia esperienza è comunque diversa da quella di Ndicka, lui stava giocando, si son fermati e tempestivamente ha avuto tutti i soccorsi del caso, sinceramente guardando in tv ho pensato al peggio, per fortuna l’infarto è stato scongiurato ed è in ripresa. Gli faccio gli auguri, guarirà completamente e tornerà più forte di prima».
Maggio ha continuato a giocare fino a 40 anni, chiudendo la carriera proprio a Vicenza, la squadra della sua città e dove aveva esordito. «Bastò un mesetto per riprendermi, alla fine ho dovuto superare anche un problema emotivo, poi avuto il nulla osta dai medici del Napoli ho ripreso senza alcun problema». Anche lui — come sembra sia successo al giocatore della Roma — aveva preso un colpo.
«Sì, successe in allenamento — aggiunge — prima della sfida di Europa League contro il Porto. Una botta e un dolore abbastanza forte, mi sottoposero a una risonanza e non c’era nulla. Il dolore persisteva anche se non era continuo e dunque non dava troppa preoccupazione». Per fortuna, Maggio non giocò quella partita pur essendo aggregato ai compagni per la trasferta («mi vengono i brividi se penso a cosa sarebbe potuto accadere») e al ritorno in aereo verso Napoli, lo staff medico del club decise per il trasferimento in ospedale.
«Non respiravo, la sensazione è di soffocamento — ricorda l’ex calciatore — una specie di pugnalata al petto. La diagnosi fu chiara, il recupero totale durò un mesetto. Ma se ripenso a quel viaggio in aereo e a quello che poteva capitarmi mi sento una persona fortunata. Sono qui e sto benissimo, come immagino anche Ndicka tra qualche giorno».