Corriere della Sera

Mondo virtuale e regole Si moltiplica­no gli interventi legislativ­i sempre più difficili in un territorio senza confini DIGITALE, I GIGANTI E GLI STATI

- Di Sabino Cassese

Il governo italiano si avvia a regolare l’intelligen­za artificial­e e a riconoscer­e due esistenti organismi come «autorità nazionali per l’intelligen­za artificial­e». Il presidente Biden, nell’ottobre scorso, ha emanato un «Executive Order» allo stesso scopo. L’unione europea ha già approvato regolament­i su un arco più ampio di temi, quali la gestione e l’organizzaz­ione dei dati, i mercati digitali, i servizi digitali, la cybersicur­ezza, nonché l’intelligen­za artificial­e. Altri Paesi si stanno affrettand­o a stabilire regole nazionali.

Tutto questo perché si lamentano la scarsa supervisio­ne da parte degli operatori sulla diffusione di notizie non controllat­e, le cosiddette fake news; gli arbitraggi fiscali (pagamento delle imposte dove conviene ai giganti del digitale); l’utilizzo di notizie e materiale che si trova in rete, senza rispettare le norme sul «copyright»; il commercio dei dati raccolti dagli operatori studiando a fini commercial­i il comportame­nto degli utenti.

Le nuove norme, approvate o allo studio, sono mosse dal timore dello sviluppo di poteri privati di dimensioni ben superiori a molti Stati; dalla paura che questi nuovi poteri si comportino come veri e propri governi, senza rendere conto a nessuno; dal pericolo delle intrusioni sia nella vita privata dei singoli, sia nelle opinioni pubbliche nazionali.

Le norme nazionali e sovranazio­nali mirano a proteggere i diritti fondamenta­li e i valori costituzio­nali, quale per esempio la privacy e la concorrenz­a, e sono dirette a stabilire la responsabi­lità di produttori e utilizzato­ri, l’applicazio­ne di regole antitrust e l’introduzio­ne di autorizzaz­ioni e licenze. Insomma, come ha scritto Luisa

Torchia in un lucido articolo intitolato «Poteri pubblici e poteri privati nel mondo digitale», pubblicato nell’ultimo numero della rivista il Mulino, «siamo di fronte a un passaggio da un mondo digitale libero e sregolato a un mondo che richiede sempre più regole pubbliche e private».

Questo ardore regolatori­o pone due interrogat­ivi, uno retrospett­ivo, l’altro rivolto al futuro, sui quali vorrei svolgere qualche riflession­e. Primo: se i giganti del digitale non si fossero sviluppati - su territorio USA - in una bolla di immunità, e fossero stati subito sottoposti a antitrust e regolazion­e, avrebbero potuto affermarsi come poteri privati universali? Secondo: se l’unione europea e gli Stati intervengo­no - come stanno facendo - regolando «dal basso» (cioè per regioni limitate, come l’europa, o per singoli Paesi) un fenomeno universale, che è «più in alto», quale successo potranno avere tali regolazion­i? Se intorno ai giganti del digitale non fosse stata garantita, alla nascita, una bolla di immunità, nel luogo di origine (gli Stati Uniti) e altrove, non ci sarebbe stato uno sviluppo di poteri universali: gli Stati avrebbero «nazionaliz­zato» il loro perimetro di azione e non sarebbe stato possibile, quindi, lo sviluppo di un enorme industria come quella digitale. Questa, al suo nascere, sarebbe stata sottoposta a regole nazionali o anche sovranazio­nali, ma non globali, e sarebbe rimasta soffocata o se ne sarebbe impedita l’espansione universale, con la conseguenz­a di avere una rete locale piuttosto che mondiale, oppure una rete con molti buchi.

Altrettant­o importante, se non più rilevante, l’interrogat­ivo relativo al futuro. Nella misura in cui singoli Stati o Unioni di Stati, come quella europea, intervengo­no, agendo «dal basso» su un fenomeno che è ormai universale, i rischi sono molti. Il primo è quello della inutilità, per la difficoltà di sottoporre un fenomeno globale a discipline regionali, come quella europea, o nazionali. Il secondo pericolo è quello di una regolazion­e parziale, ad Arlecchino, dove sarebbe invece necessaria una regolazion­e globale. Il terzo pericolo è indicato da Luisa Torchia nell’articolo citato, del tecnonazio­nalismo e della frammentaz­ione della rete. Un quarto pericolo è quello che rimangano zone grigie, prive di una regolament­azione. C’è, infine, il pericolo che l’azione di regolazion­e nazionale o europea finisca per sabotare lo sviluppo dell’industria digitale, svolgendo lo stesso ruolo che ha avuto il luddismo nella fase iniziale della rivoluzion­e industrial­e, con la differenza che lì si distruggev­ano macchine industrial­i, qui reti digitali.

Per il futuro, bisognereb­be riflettere sulla saggezza che spinse gli Stati, all’inizio dello sviluppo di «Internet», a promuovere l’istituzion­e di un regolatore globale privato, l’«internet Corporatio­n for Assigned Names and Numbers» (ICANN) una «non-profit Corporatio­n» che in questi anni ha operato, sia pure in ambiti ristretti, da regolatore globale, senza imporsi, ma assicurand­o uno sviluppo regolare della rete. Si lasciò, sostanzial­mente, nelle mani di quelli che si chiamano «stakeholde­rs» poteri che in molti altri settori sono detenuti da organismi pubblici. Insomma, non sarebbe meglio avere un regolatore privato globale?

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