Mahmood: gli stadi? Ora no, ho già l’ansia per i palazzetti
AMSTERDAM Adesso c’è l’europa. Mahmood è in giro per il continente con un tour di 17 date nei club (quasi tutte sold out), sull’onda di un 20% di stream internazionali per «Tuta Gold» e di una popolarità costruita passo dopo passo a partire dall’eurovision di «Soldi» del 2019. «Questa volta ho avuto la percezione che mi stessero aspettando», racconta nei camerini del Paradiso di Amsterdam, ex chiesa riconvertita a club.
Il tour è in spazi piccoli, per l’italia è previsto solo un doppio Fabrique a Milano: c’è una band con tanto spirito live, c’è la sua voce ipnotica, luci e niente video, molta interazione con i fan delle prime file che gli regalano mazzi di tulipani, pupazzi, mucche ricamate... Essenziale, ci sarà spazio poi per allargarsi nei palazzetti previsti a ottobre dopo un’estate nei festival. «Stadi? Piano, piano... adesso ho l’ansia per i palazzetti. È importante avere sempre obiettivi da depennare uno dopo l’altro, ma credo di non essere nemmeno a metà della mia carriera».
Con tre settimane al numero 1 sia nella classifica singoli che in quella radio, «Tuta Gold» è la vincitrice del postsanremo. «Al Festival è sempre come se qualcuno dall’alto dicesse “poverino questo…” e mi desse una spinta... Un mio amico mi ha detto “Alessa’ fai sempre bene a Sanremo, il problema è il resto dell’anno”. Battute a parte, “Tuta Gold” è un pezzo antisanremo: avevo anche un ballad ma non volevo ripetermi dopo “Brividi”. La reazione del pubblico mi ha permesso di metterlo a fine concerto al posto di “Soldi”», sorride il cantautore urban.
Per Mahmood il successo è arrivato tardi. Non ha rischiato il logoramento di cui ha parlato Sangiovanni annunciando lo stop alla carriera. «Fossi esploso a 19 anni non so come avrei reagito. La gavetta ti salva, è una scuola che ti fa capire dove migliorare e perché non arriva il risultato che cerchi. A un certo punto nel 2018 i miei musicisti non volevano più scrivere con me perché non funzionava. Un giorno addirittura un discografico mi disse “questo pezzo è il più brutto che hai scritto sinora”. Si chiamava “Urla” e non l’ho mai pubblicato. Eppure continuai ad andare in casa discografica ogni giorno a rompere a tutti. E alla fine è arrivata anche la scrittura».
La gavetta ti salva, è una scuola che ti fa capire dove migliorare e perché non arriva il risultato che stai cercando