«Ho visto mio figlio, a volte parla di Alice altre è aggressivo In cella non guarirà»
«Speravo di morire prima di vedere come i giudici tendano a blindarsi pur di difendere la polizia. È una sentenza già scritta». Antonella Zarri è sconfortata ma non sorpresa dopo la conferma in appello della condanna a 24 anni e sei mesi per il figlio Alberto Scagni che il primo maggio 2022 uccise la sorella Alice.
Se l’aspettava.
«Non poteva certo cadere tutto il castello che giorni fa ha portato all’archiviazione di chi (due agenti e una dirigente del servizio di salute mentale, ndr) nonostante le nostre richieste di intervenire perché Alberto era una bomba pronta a esplodere non mandò neanche una volante. Basti dire che in udienza c’erano gli avvocati degli agenti archiviati. Perché tanto interesse per un processo che non li riguarda? E poi i tempi».
In che senso?
«È stato un appello sprint. Il primo grado è stato a settembre: in pochi mesi hanno chiuso. Per forza, era già tutto deciso. Il mostro va dimenticato in fretta così da lavarsene le mani».
Il pm chiedeva l’ergastolo.
«Perché secondo lui Alberto era capace di intendere e volere. Nonostante tutte le perizie c’è ancora chi mette in dubbio che sia una persona malata e come tale andrebbe curata, non buttata in carcere e dimenticata. Ci siamo anche dovuti sentir dire dall’avvocato della parte civile (che assiste il marito di Alice, ndr) che i mostri non nascono a caso in alcune famiglie. Ma è la stessa famiglia di Alice».
L’avvocato di Alberto ne chiedeva la custodia in Rems?
«Per il suo legale, ma anche per noi, Alberto deve essere curato. In carcere non potrà mai avere un percorso di cura e assistenza psichiatrica adeguati. È un soggetto molto difficile. Anche il direttore del carcere di Marassi ha scritto che rifiuta qualunque cura».
Cosa farete ora?
«Sul ricorso in Cassazione decideranno i legali di Alberto. Noi invece non ci rassegniamo all’archiviazione dei poliziotti indagati nell’altro procedimento. Se in Italia funziona che quando un cittadino chiede l’intervento della polizia non si schiodano dalla sedia e ti dicono “domani venga a fare la denuncia”, ci rivolgeremo ad altri. Pensiamo di ricorrere alla Corte di Giustizia Europea».
Alberto come sta?
«Dopo che a Sanremo lo hanno quasi ammazzato ora è a Torino. È in un’area medica: fa ancora fisioterapia e poi, una volta ogni tre settimane, incontra la psichiatra».
È andata a trovarlo? Come reagisce nei vostri confronti?
«Certo che sono andata. Anche se fisicamente sta pian piano recuperando la testa è sempre quella di due anni fa. Ha dei lampi di normalità in cui parla anche di Alice come se fosse al lavoro, e momenti di fortissima aggressività. Quando è uscito dal coma ha preso a sputarmi addosso. Comportamenti tipici di una persona malata».