«Il giovane Berlusconi», un ritrattino agiografico e scolastico
Berlusconi sapeva fare la tv e non avrebbe mai mandato in onda un documentario simile, anche se parlava di lui. E dire che sulla sua tv si è discusso molto: sono stati scritti articoli, libri, saggi, tesi universitarie, sono stati organizzati dibattiti in ogni sede. Era bella o brutta? Era una tv innovativa o solo un subdolo congegno di persuasione occulta? E lui, Berlusconi, era un grande e simpatico affabulatore o un seduttivo piazzista?
Davvero, come sostiene Maurizio Maggiani, con Berlusconi, per colpa delle sue tv, «la felicità pubblica si è fatta consumo privato, le strade si sono svuotate, la comunità ha imparato a non riconoscersi più»? Se cerchiamo di trovare una risposta a queste domande non indifferenti nel documentario in tre puntate Il giovane Berlusconi, scritto da Matteo Billi e Piergiorgio Curzi e diretto da Simone Manetti (Netflix), rassegniamoci: è tutto un discorso di superficie.
Sembra un’esercitazione di fine anno di un corso del Dams, un ritrattino agiografico e scolastico che spiega ben poco dello sconvolgente impatto che Berlusconi ha avuto sulla vita degli italiani. Si sono persino dimenticati di mettere le didascalie sotto il materiale d’archivio. Che occasione sprecata! Ci sono interviste, senza offesa, già sentite mille volte; ci sono interviste da cui si sarebbe potuto ricavare molto di più (Dario Rivolta, Carlo Momigliano, Marcello Dell’utri), ci sono interviste egoriferite (forse Minoli poteva intervistare per primo Berlusconi perché aveva fatto gli spot di propaganda per Craxi, no?), ci sono interviste inutili (gli autori non hanno mai letto i libri di Gigi Moncalvo?).
La frase più bella di tutto il documentario, quella in cui Dell’utri chiede cosa sia la televisione e Berlusconi gli risponde: «La televisione è tutto ciò che sta intorno alla pubblicità», meritava di essere incorniciata con qualche commento sensato. Così come, quando Dell’utri ricorda che Berlusconi usava il gergo pubblicitario per definire gli spettatori «teste», si poteva ricordare che il grande Ettore Bernabei qualificava gli spettatori come «teste di ca...». E tirare qualche somma, forzare qualche similitudine.