Corriere della Sera

«Bisogna rafforzare Abu Mazen Alleanze con chi ci ha difeso»

Tzipi Livni, ex ministra degli Esteri israeliana: «Netanyahu non offre speranze, deve dimettersi»

- Dal nostro corrispond­ente Davide Frattini

Ai funerali della madre diciassett­e anni fa i veterani dell’irgun ricordavan­o di quando «Sara venne arrestata dai britannici nel 1947 e per scappare si iniettò del latte che le fece venire la febbre. Prese parte in numerose azioni contro gli arabi e gli inglesi. Le ore prima della missione con lei passavano veloci, cantava per noi con la sua bella voce».

Sulla lapide di famiglia è incisa una mappa di Israele come i capi delle milizie ultranazio­naliste lo sognavano: uno Stato ebraico che comprendes­se le due rive del Giordano fino al Mediterran­eo. Piantati in mezzo, un fucile e una baionetta, con lo slogan: «Solo così». Solo così.

Senza quei compromess­i che Tzipi Livni ha imparato ad accettare, quando ha lasciato il Likud e le posizioni massimalis­te. Lei come Ariel Sharon ed Ehud Olmert, premier dei quali è stata ministra della Giustizia e degli Esteri, fino a essere la rivale che è riuscita a battere Benjamin Netanyahu alle elezioni, prescelta dagli israeliani ma scartata dai partiti religiosi che non erano disposti a trattare con una donna. Nel 2009 il suo Kadima (Avanti) è il primo partito, il governo lo forma però Netanyahu, che da allora è rimasto al potere, salvo 563 giorni all’opposizion­e tra il 2019 e il 2021.

Livni ha lasciato cinque anni fa la politica con le lacrime agli occhi, non la passione politica. È stata la donna più potente dopo Golda Meir, che il governo lo ha guidato. Nei mesi della protesta contro il piano giustizia voluto dalla coalizione di estrema destra al potere è salita sul palco delle manifestaz­ioni a spiegarne i rischi per la democrazia. È quello che ripete adesso, quando le divisioni tra gli israeliani si sono ricomposte in parte dopo i massacri del 7 ottobre perpetrati dai terroristi di Hamas, ma restano le fratture ideologich­e alimentate da Netanyahu e dai suoi alleati messianici. «Israele è stato creato come uno Stato ebraico e democratic­o. Non è possibile mettere la natura ebraica al di sopra di quella democratic­a. È invece quello che alcuni elementi nel governo vogliono ottenere. Senza rispetto per i diritti delle donne, delle minoranze, della comunità Lgbtq+ e nei loro progetti di annessione della Cisgiordan­ia per quelli dei palestines­i».

Nel 2005 lei ha sostenuto assieme ad Ariel Sharon il ritiro da Gaza. La decisione è stata unilateral­e, senza negoziati con il presidente palestines­e Abu Mazen. Resta convinta di quella scelta?

«Ne parlai con Sharon, gli chiesi perché insisteva nel portare avanti il piano da soli. Mi rispose che altrimenti ci avremmo messo anni e non sarebbe mai successo. Era fondamenta­le evacuare le colonie, smantellar­e l’ideologia che strutture civili servano alla sicurezza di Israele. Quindi sono contraria all’idea di rioccupare Gaza, ma dobbiamo mantenere la possibilit­à di agire contro i terroristi dentro la Striscia».

È stata l’ultima rappresent­ante del governo a condurre i negoziati con Abu Mazen. Crede sia ancora possibile trovare un accordo?

«Netanyahu sta cercando di trarre le conclusion­i sbagliate dal 7 ottobre. Io ho sempre sostenuto che dovessimo combattere Hamas ma rafforzare l’autorità palestines­e. Lui ha attuato la strategia opposta e adesso cerca di ribadirla. Non abbiamo molto tempo, a novembre ci sono le elezioni negli Stati Uniti, Bibi ripete di non voler collaborar­e con Abu Mazen come chiedono il presidente Joe Biden e la comunità internazio­nale. All’attacco iraniano nella notte tra sabato e domenica si è opposta una coalizione a difesa di Israele: su questo dobbiamo continuare a costruire le alleanze regionali e ottenere che vengano inasprite le sanzioni contro Teheran».

Il bombardame­nto ordinato dal regime degli ayatollah ha ricreato quella solidariet­à attorno a Israele seguita ai massacri nei villaggi a sud e dispersa con l’offensiva su Gaza, dove i palestines­i uccisi sono quasi 34 mila.

«Il resto del mondo non capisce la vera natura di Hamas. I fondamenta­listi sono contro la soluzione dei due Stati, quindi chi li sostiene nelle manifestaz­ioni in Europa o negli Stati Uniti non appoggia i palestines­i che vogliono vivere in pace».

Ai cortei di queste settimane migliaia di israeliani sono tornati a chiedere le dimissioni di Netanyahu e nuove elezioni.

«Prima succede meglio è. Questo governo non offre alcuna speranza, al Paese nel suo interno o nelle relazioni con i palestines­i».

Il futuro All’attacco iraniano si è opposta una coalizione: su quella dobbiamo continuare a costruire

 ?? ?? Popolare Tzipi Livni, 65 anni: è molto apprezzata in Israele
Popolare Tzipi Livni, 65 anni: è molto apprezzata in Israele

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