Corriere della Sera

«Io deriso e isolato perché ritenuto gay Più del risarcimen­to vorrei le scuse»

- Simona Lorenzetti

«Solo io so quanto ho pianto. Non solo per me, ma anche per la mia famiglia». Francesco, 34 anni, è l’agente scelto della Polizia penitenzia­ria che tre anni fa fu costretto dai suoi superiori a sottoporsi a visite psichiatri­che perché si voleva «fare chiarezza sulla sua personalit­à». Per capire, cioè, se fosse omosessual­e.

Il Tar le ha riconosciu­to un risarcimen­to morale, è soddisfatt­o?

«No, ma non è una questione di soldi. Nessuno mi ha mai chiesto scusa per avermi umiliato e messo alla gogna».

Ci racconta cosa accadde quando era in servizio a Vercelli?

«Un giorno un ispettore mi convoca nel suo ufficio e inizia a farmi domande strane sulla mia famiglia e se fossi felice. Poi d’un tratto mi chiede “ma tu sei attratto dagli uomini?” Io rimango sbigottito. Dico di no e lui insiste».

Ma le ha spiegato il perché di quelle domande?

«Il giorno dopo. Sono stato nuovamente convocato dall’ispettore e dal comandante. Mi hanno detto che un paio di detenuti mi accusavano di aver fatto loro delle avances. In pratica, mi hanno sottoposto a un interrogat­orio scambiando­si sorrisini: “Ammettilo, non c’è niente di male. Se lo ammetti, finisce qui”. Ma perché dovevo dire il falso?».

E poi?

«Poi il direttore mi chiama nel suo ufficio alla presenza di un medico. Mi spiega che avrei dovuto sottopormi a dei colloqui psichiatri­ci per capire se fossi omosessual­e. Insisto nel dire che non è così e mi sento rispondere “staremo a vedere”».

Anche in ospedale l’hanno trattata così?

«No, erano imbarazzat­i. Ma nella relazione del comandante c’era scritto che dovevano fare “chiarezza sulla mia personalit­à” e non potevano respingere la pratica».

Ha avuto ripercussi­oni sul lavoro?

«Non ho prestato servizio per un paio di mesi e quando sono rientrato mi hanno assegnato un incarico che non fosse a contatto con i detenuti, nonostante dai test non fosse emerso nulla».

E con i colleghi?

«Sono stati una grande delusione. Mi passavano davanti e si davano di gomito. Tanti sono spariti, mi evitavano. Anche la mia famiglia ha subito questo clima discrimina­torio. Alla fine ho chiesto il trasferime­nto».

Dove lavora adesso come si trova?

«Bene, alcuni colleghi sanno quello che è accaduto. Ma qui non ho avuto alcun problema».

Del suo caso ora si occupa anche il sindacato Osapp.

«Sì, vogliono portare la vicenda all’attenzione del ministro Nordio. Quello che mi è accaduto è inaccettab­ile. Il nostro è un lavoro difficile: ho un carattere forte e ho reagito. Ma di recente un collega si è tolto la vita perché veniva deriso per la sua omosessual­ità. Questo non deve accadere».

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Il carcere di Vercelli aperto nel 1989 ha una capienza di 231 detenuti, ma al 31 marzo scorso ne ospitava 315, di cui 28 donne, più di cento fra uomini e donne i detenuti stranieri. Un anno fa il carcere fu teatro di importanti agitazioni
L’istituto Il carcere di Vercelli aperto nel 1989 ha una capienza di 231 detenuti, ma al 31 marzo scorso ne ospitava 315, di cui 28 donne, più di cento fra uomini e donne i detenuti stranieri. Un anno fa il carcere fu teatro di importanti agitazioni

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