«Io deriso e isolato perché ritenuto gay Più del risarcimento vorrei le scuse»
«Solo io so quanto ho pianto. Non solo per me, ma anche per la mia famiglia». Francesco, 34 anni, è l’agente scelto della Polizia penitenziaria che tre anni fa fu costretto dai suoi superiori a sottoporsi a visite psichiatriche perché si voleva «fare chiarezza sulla sua personalità». Per capire, cioè, se fosse omosessuale.
Il Tar le ha riconosciuto un risarcimento morale, è soddisfatto?
«No, ma non è una questione di soldi. Nessuno mi ha mai chiesto scusa per avermi umiliato e messo alla gogna».
Ci racconta cosa accadde quando era in servizio a Vercelli?
«Un giorno un ispettore mi convoca nel suo ufficio e inizia a farmi domande strane sulla mia famiglia e se fossi felice. Poi d’un tratto mi chiede “ma tu sei attratto dagli uomini?” Io rimango sbigottito. Dico di no e lui insiste».
Ma le ha spiegato il perché di quelle domande?
«Il giorno dopo. Sono stato nuovamente convocato dall’ispettore e dal comandante. Mi hanno detto che un paio di detenuti mi accusavano di aver fatto loro delle avances. In pratica, mi hanno sottoposto a un interrogatorio scambiandosi sorrisini: “Ammettilo, non c’è niente di male. Se lo ammetti, finisce qui”. Ma perché dovevo dire il falso?».
E poi?
«Poi il direttore mi chiama nel suo ufficio alla presenza di un medico. Mi spiega che avrei dovuto sottopormi a dei colloqui psichiatrici per capire se fossi omosessuale. Insisto nel dire che non è così e mi sento rispondere “staremo a vedere”».
Anche in ospedale l’hanno trattata così?
«No, erano imbarazzati. Ma nella relazione del comandante c’era scritto che dovevano fare “chiarezza sulla mia personalità” e non potevano respingere la pratica».
Ha avuto ripercussioni sul lavoro?
«Non ho prestato servizio per un paio di mesi e quando sono rientrato mi hanno assegnato un incarico che non fosse a contatto con i detenuti, nonostante dai test non fosse emerso nulla».
E con i colleghi?
«Sono stati una grande delusione. Mi passavano davanti e si davano di gomito. Tanti sono spariti, mi evitavano. Anche la mia famiglia ha subito questo clima discriminatorio. Alla fine ho chiesto il trasferimento».
Dove lavora adesso come si trova?
«Bene, alcuni colleghi sanno quello che è accaduto. Ma qui non ho avuto alcun problema».
Del suo caso ora si occupa anche il sindacato Osapp.
«Sì, vogliono portare la vicenda all’attenzione del ministro Nordio. Quello che mi è accaduto è inaccettabile. Il nostro è un lavoro difficile: ho un carattere forte e ho reagito. Ma di recente un collega si è tolto la vita perché veniva deriso per la sua omosessualità. Questo non deve accadere».