DA AGNELLI A PIGNATARO LA NUOVA CLASSIFICA DEI RICCHI
Caro Aldo,
nella classifica di Forbes mi ha colpito Devasini, quarto più ricco d’italia, ex chirurgo plastico che si è buttato nella finanza. Certo che con le criptovalute si guadagna più che a fare il chirurgo, ma non deve essere facile comunque. Merito delle sue capacità. E non sono invidioso, con tutto quello che ho letto sui social.
Giuseppe Ruggeri
Il secondo più ricco secondo Forbes è un italiano che non ho mai sentito nominare, Andrea Pignataro, un finanziere, altissima finanza della quale noi comuni mortali non capiamo nulla. Ha tutta la mia ammirazione. Mi piacerebbe che ci spiegasse come far fruttare i nostri risparmi senza perderci… Marzia Rossi
Cari lettori,
Anch’io come voi sono rimasto incuriosito dalla nuova classifica degli italiani più ricchi, e anch’io come voi non avevo mai sentito nominare Giancarlo Devasini (cui Forbes attribuisce un patrimonio di oltre nove miliardi di dollari) e Andrea Pignataro (27 miliardi e mezzo). Ho letto il ritratto di Pignataro scritto da uno dei migliori giornalisti economici d’italia, Mario Gerevini; ma se mi chiedeste che lavoro fa, non saprei rispondervi. Guido Brera la chiama la tecnofinanza. Avete ragione: l’invidia è un sentimento ignobile; il successo è successo, e non si discute. Certo, colpisce il raffronto con gli anni 80. Al tempo gli italiani più ricchi erano ben noti a tutti, finivano sulle prime pagine delle riviste internazionali, e soprattutto producevano cose. Agnelli faceva le automobili, De Benedetti le macchine per scrivere e i computer, Gardini lo zucchero e i prodotti chimici, Berlusconi i palazzi e la tv. Di conseguenza, avevano bisogno del lavoro umano, stipendiavano decine di migliaia di dipendenti, Agnelli più di duecentomila. Era un altro mondo. Ora i soldi si fanno con altri soldi (parlo in generale non di Pignataro, il cui gruppo peraltro ha 12 mila dipendenti), ed è normale che chi li fa reclami una fetta sempre più grande. In questi primi decenni del nuovo secolo si è stampato moltissimo denaro, per stimolare l’economia, ma solo una frazione è arrivata alla manifattura e in genere alla produzione. Il problema non è la mancanza di denaro. È l’incapacità di spenderlo in opere che restino e creino lavoro. Certo, il lavoro non è scomparso. Ma è un lavoro che molti non vogliono più fare; infatti manca personale. Il lavoro del ceto medio, quello intellettuale, sarà sempre più sostituito dall’intelligenza artificiale. Il crollo del ceto medio si spiega anche così. E il fisco nazionale si accanisce sempre di più con chi i capitali all’estero non li può portare.
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