Corriere della Sera

Il realismo di Carlo, l’uomo che sa parlare ai campioni

E il prossimo anno avrà un Mbappé in più

- Di Alessandro Bocci

L’intramonta­bile Carlo ha un segreto che custodisce senza presunzion­e: la semplicità. Ancelotti non mette mai se stesso davanti alla squadra che allena, non la vuole piegare a un sistema o a uno spartito. Piuttosto la modella a seconda degli interpreti e degli avversari e non si vergogna a giocare sfruttando l’arma del vecchio e caro contropied­e, che aveva reso celebre Giovanni Trapattoni e che oggi viene esaltato persino dagli scettici spagnoli, innamorati del tiki-taka.

Così Carletto è uscito vivo dalla tana del Manchester City, che all’etihad ha giocato più e meglio, ha tirato 34 volte e colleziona­to 18 calci d’angolo a 1, ma alla fine ha perso, seppure alla lotteria imperscrut­abile dei rigori. Il Real Madrid certe partite non le sbaglia, ce le ha nel sangue e il visionario Guardiola un po’ se lo sentiva che sarebbe andata a finire così perché superare due volte il Madrid è una missione quasi impossibil­e. C’era riuscito l’anno scorso, schiantand­o i Blancos per 4-0 e ci sarebbe riuscito anche stavolta se De Bruyne, il suo gioiello, dopo l’1-0 non avesse sprecato l’occasione più nitida per raddoppiar­e. Ancelotti in quel momento ha tremato, ma solo un po’. Perché in panchina difficilme­nte si agita. Un leader calmo. Il piano studiato a tavolino e senza deroghe ha retto. Difesa attenta, guidata da Nacho che ha sempre e solo indossato la maglia del Madrid e fondata sul Rudiger, un gigante, il migliore in campo. Una squadra corta e stretta, che ha giocato con attenzione feroce, marcature esasperate ed è rimasta in piedi dall’inizio alla fine. Tutti si sono sacrificat­i, dal primo all’ultimo, lottando, correndo, chiudendo ogni varco. Soffrendo. «Solo così potevamo farcela», ha ammesso candidamen­te Ancelotti. Per la verità i suoi discepoli avrebbero dovuto colpire di più in contropied­e, soprattutt­o nel secondo tempo, ma mica è facile contro il City. E ora Carlo da Reggiolo gode perché dopo aver vinto la finale anticipata di questa Champions, tornerà nel suo vecchio stadio, l’allianz Stadium, il tempio del Bayern Monaco, per la decima semifinale (lo stesso numero di Guardiola) e per inseguire il sogno della quinta Coppa, che sarebbe la quindicesi­ma per il suo club. Numeri da re.

Ancelotti ha vinto all’italiana, senza troppe alchimie, cercando di sfruttare le qualità dei suoi meraviglio­si interpreti. Nella seconda vita madridista ha sollevato al cielo la Champions al primo anno e messo in bacheca la Liga al secondo, adesso potrebbe centrare l’accoppiata, consideran­do che il campionato è quasi in cassaforte e gli basterà non perdere il Clasico al Bernabeu domenica prossima e gestire il vantaggio nelle rimanenti sei giornate. L’anno prossimo con Mbappé a fianco di Bellingham, la meglio gioventù, le cose saranno ancora migliori e più divertenti. Il Madrid promette di diventare irresistib­ile.

Ma Carletto non si illude. E proprio qui sta la sua forza. Mai prendersi troppo sul serio e soprattutt­o mai dare niente per scontato: perché il cielo sopra Valdebebas cambia in un istante come l’umore del volubile Florentino. Ancelotti lo sa, inarca il sopraccigl­io e non si agita: dentro è un fuoco, fuori è pace e i giocatori lo adorano, lo seguono e hanno promesso di portarlo sino a Wembley dove ad attenderlo potrebbe esserci proprio Mbappé.

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Carlo Ancelotti e Pep Guardiola alla fine della sfida tra Manchester City e Real Madrid
(Ansa) Abbraccio Carlo Ancelotti e Pep Guardiola alla fine della sfida tra Manchester City e Real Madrid

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