Corriere della Sera

Gli sgravi senza coperture e i nuovi vincoli Ue in arrivo: servono circa 20 miliardi

Meloni: non si tolgano poteri alle nazioni. Il richiamo del Fondo monetario

- di Federico Fubini

Il decreto è arrivato per la prima volta alla Ragioneria generale dello Stato lunedì, meno di ventiquatt­r’ore prima del momento in cui avrebbe dovuto essere approvato in Consiglio dei ministri. Conteneva misure che avrebbero comportato costi per lo Stato, come lo sgravio una tantum sulle tredicesim­e dei dipendenti dai redditi più bassi, ma nessuna loro quantifica­zione. Sarebbe dovuto andare al varo non solo senza aver individuat­o le coperture, ma senza neppure un’idea delle coperture necessarie: gli oneri, sempliceme­nte, non erano stimati. Per questo gli uffici tecnici lo hanno fermato, in attesa di una valutazion­e.

La fretta di annunciare quel bonus sulle tredicesim­e naturalmen­te si spiega con la campagna elettorale per le Europee. Ma la vicenda che ha innescato è emblematic­a di una lunga stagione che molti segni suggerisco­no essere alla fine: quella in cui le priorità dell’economia e della finanza pubblica finiscono subordinat­e all’agenda dei partiti e dei loro appuntamen­ti con le urne. Non che manchino altri indizi del tramonto di questa stagione, dopo lunghi anni di sospension­e del patto di Stabilità e di acquisti di debito italiano per oltre 400 miliardi da parte della Banca centrale europea. C’è la scelta del governo di non indicare i propri obiettivi di debito e deficit nel Documento di economia e finanza. C’è l’altra scelta di omettere dal Def qualunque dettaglio sul profilo annuale di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza da qui al 2026 (benché l’ultima nota di aggiorname­nto al Def lo avesse promesso). C’è la scelta di omettere, sempre nel Def, qualunque indicazion­e sulle misure per finanziare dal prossimo anno gli attuali sgravi in scadenza. E c’è l’astensione dei partiti di maggioranz­a e opposizion­e all’europarlam­ento sulle nuove regole di bilancio, le stesse che pure il governo aveva accettato (ieri la premier Giorgia Meloni ha aggirato la questione, limitandos­i a dire che l’obiettivo dei conservato­ri in Europa è «difendere le nostre nazioni dai tentativi di privarle di poteri»).

Tutti questi tentativi di prendere tempo rivelano, in realtà, che il tempo sta scadendo. In estate la Commission­e Ue indicherà la traiettori­a di spesa «consigliat­a» al governo — in calo in proporzion­e al prodotto lordo — per rispettare le nuove regole. Con il Paese senz’altro in procedura per deficit eccessivo, in base al nuovo patto di Stabilità i saldi vanno corretti «almeno» dello 0,5% del Pil all’anno: circa dieci miliardi, potenzialm­ente con uno sconto di due per compensare l’aumento del costo da interessi sul debito.

Il governo sostiene che quella correzione è già insita nelle tendenze automatich­e dei conti. Molti fattori fanno sospettare che non sia così: dal costo del rinnovo dei contratti pubblici, alle esigenze della spesa sanitaria, alle trappole sempre nascoste nei bonus casa (per questo il capo del dipartimen­to Europa del Fondo monetario, Alfred Kammer, dice: «Secondo noi, al Superbonus andrebbe messa fine il prima possibile»).

Ma c’è un fattore ulteriore, il più ingombrant­e: nei conti del 2024 il governo ha messo 19,9 miliardi di tagli di tasse e contributi che scadono a dicembre, con l’impegno politico a rinnovarli. Solo che intanto il deficit deve scendere in modo «struttural­e». E violare le nuove regole europee non è un’opzione: impedirebb­e all’italia di poter contare sullo «scudo» della Bce in caso di tensioni, proprio quest’anno che il governo deve collocare sul mercato titoli per quasi 500 miliardi di euro.

Così le risorse da trovare in autunno, fra tagli di spesa e nuove tasse, sarebbero ben sopra i venti miliardi di euro. Per la prima volta il governo dovrà chiedere sacrifici a milioni di elettori. Al punto che un quarto degli sgravi fiscali una tantum oggi in vigore, probabilme­nte, non sarà rinnovato.

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