SE L’EUROPA SI TRASFORMA IN BERSAGLIO DELL’ESECUTIVO
Dire che il governo italiano rischia di preparare il proprio isolamento in Europa è esagerato. Segnalare che sta prendendo sempre più le distanze da «un»’europa è doveroso. Prima c’è stata l’astensione sul nuovo patto di Stabilità, alla quale si sono associati il Pd e, addirittura con un voto contrario, il M5S. Ieri il gruppo dei conservatori europei, l’ecr presieduto dalla premier Giorgia Meloni, ha diffuso una sintesi del suo intervento, che suona come una critica frontale all’ue di questi anni, accarezzando i temi cari al sovranismo.
Difficile capire se sia solo il frutto di una strategia che teorizza «nessun nemico a destra»; e dunque cerca di non lasciare alla Lega di Matteo Salvini quelle sacche del populismo di destra per definizione antieuropeo. Si tratti di un espediente elettorale o meno, rafforza la decisione presa sul patto di Stabilità. E segna un «uno-due» che allontana il partito della premier dalle convergenze costruite nei mesi scorsi col Ppe, e in particolare con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
Sostenere, come ha fatto Meloni, che «il primo obiettivo sarà quello di difendere le nostre nazioni dai tentativi di privarle dei loro poteri», è una disdetta delle parole d’ordine europeiste. Si tratta di un omaggio a quel nazionalismo che è sempre stato una bussola per forze come Fratelli d’italia. Ma, riproposto adesso, dopo l’astensione italiana sul Patto, alimenta la sensazione di un Paese che si schiera con l’«altra Europa»: quella che spera di scardinare gli equilibri continentali col voto di giugno; ma che rischia di ritrovarsi ai margini sulle candidature di vertice.
Soprattutto, offre argomenti a chi vede un arretramento rispetto alla marcia moderata intrapresa da Meloni dopo la vittoria alle Politiche del settembre 2022. Con una simile impostazione, il rapporto di un’italia penalizzata dal debito pubblico che è il 137 per cento del Pil, secondo solo a quello della Grecia, promette di essere conflittuale con le istituzioni continentali; e finisce per incrociare anche le scelte di politica estera, che finora sono state il vero punto di forza di Palazzo Chigi, in grado di neutralizzare le inclinazioni filorusse della Lega salviniana.
È indicativo il tentativo del partito più europeista della maggioranza, Forza Italia, di ridimensionare quanto è accaduto. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani cerca di ridurre a «dialettica interna» l’astensione sul patto di Stabilità. «Astenersi», ha spiegato, «non vuol dire essere contro. Significa che questo patto si può migliorare. Ho ascoltato le parole del presidente del Ppe che ha detto che è una normale dialettica interna». Ma è una dialettica che può dividere, non unire: i Popolari, l’ue e il governo italiano.