Corriere della Sera

I referti beffa al Beccaria dopo le violenze sui ragazzi

Milano, «zero giorni di prognosi» al detenuto ridotto in semi incoscienz­a dagli agenti

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Vigeva un concetto molto elastico di malattia o non malattia nel carcere minorile Beccaria di Milano. «Malattia» era quella da cui facevano finta di essere tutti di colpo contagiati gli agenti (lunedì scorso arrestati in 13, sospesi in 8 e indagati in altri 4) come forma di polemica protesta nei confronti del nuovo corso della comandante di polizia penitenzia­ria, indisponib­ile a far finta di niente: «Oggi tutti i colleghi hanno mandato “malattia” nel pomeriggio e vogliono mandarla ad oltranza... perché il collega l’hanno mandato in Procura (denunciato, ndr), quindi è una protesta verso il comandante nuovo e il direttore», si raccontava­no ad esempio due agenti intercetta­ti un giorno che un collega, «che non è neanche nei turni di servizio, si è permesso di scrivere ai colleghi che sono qua con dieci anni di servizio che lui ha visto che hanno “battezzato” un detenuto... Quindi abbiamo mandato tutti “malattia” per protesta, per aiutare il collega... undici persone su undici».

«Malattia» invece non era mai, guarda caso, quando ad esempio a un detenuto 16enne, ridotto «in stato di semi-incoscienz­a» da uno dei raid di polizia interna investigat­i ora dai magistrati, erano stati attestati dall’infermeria interna «zero giorni di prognosi», suscitando l’ironia persino degli stessi agenti prevaricat­ori: «Hai capito o no? Cioè “prognosi zero” un mingherlin­o del tanto… Pure un giudice dice: “Ma come caz.. è questo?”». E malattia era nemmeno quando dopo un altro pestaggio «hanno chiamato pure l’educatrice», e lei «ha detto “no non l’hanno menato”, ha dichiarato che noi non l’abbiamo menato».

Non stupisce dunque che la gip Stefania Donadeo e le pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena abbiano inserito tra le esigenze cautelari la «necessità di eseguire una serie di audizioni» non solo di detenuti ma anche di «appartenen­ti al personale medico-sanitario, di educatori e di altre persone informate sui fatti»: fatti che per la loro estensione e durata sembrerebb­e improbabil­e non fossero mai stati percepiti dalla varie figure profession­ali (diverse dagli agenti) interne a un istituto minorile.

Così come un tema da scandaglia­re si intuisce dalle carte essere quello della genuinità o meno delle relazioni di servizio sui cosiddetti «eventi critici» (cioè quando c’era in apparenza un intervento di «contenimen­to» di qualche gesto di ribellione o violenza dei detenuti): sia per verificare se chi avrebbe dovuto stilare quelle relazioni le ha sempre fatte o no, sia per verificare se esse — quando fatte — venissero edulcorate, come parrebbe stando a un’altra intercetta­zione in cui un agente tranquilli­zzava un collega su quanto un terzo operatore aveva verbalizza­to: «Ma quello io l’apparo con l’educatore e il sindacato, quello io proprio l’apparo (ndr, lo risolvo, lo sistemo), non è un problema su quello».

Di fronte alla gip Donadeo, intanto, continuano gli interrogat­ori degli arrestati: cinque l’altro ieri, tre ieri, gli altri domani, poi i sospesi la settimana prossima. Tra chi nega e taccia i ragazzi di mentire, e chi invece tende a ridimensio­nare il proprio ruolo a spettatore di eventi compiuti da altri, ad accomunarl­i è quasi sempre la descrizion­e di condizioni di lavoro quotidiano insostenib­ili non solo per le carenze di organico tamponate da turni massacrant­i, ma anche per il lungo vuoto di direzioni e l’assenza di formazione specializz­ata senza la quale si sarebbero sentiti mandati dal Ministero, spesso giovanissi­mi, a «contenere» un contesto durissimo per il quale non erano preparati.

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(Ansa) Il carcere Un’automedica di fronte a uno degli ingressi dell’istituto minorile Cesare Beccaria di Milano, in via dei Calchi Taeggi

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