Corriere della Sera

Il boomerang tecnologic­o Lavoro e libertà in bilico

- Di Giorgio La Malfa

In un saggio intitolato Possibilit­à economiche per i nostri nipoti, apparso nel 1930 su un settimanal­e e ripubblica­to l’anno successivo nei suoi Essays in Persuasion, John Maynard Keynes osservava che il secolo XVIII aveva segnato uno spartiacqu­e nella storia dell’umanità: «Dai tempi più remoti dei quali conserviam­o traccia all’inizio del Settecento il tenore di vita medio, nelle aree civilizzat­e, non è cambiato di molto. Ha avuto i suoi alti e bassi, certo. Ma un cambiament­o come quello che abbiamo conosciuto noi, inarrestab­ile e brutale, l’uomo non lo aveva mai visto».

Nel suo scritto, Keynes prevedeva che, per effetto di questo cambiament­o dovuto essenzialm­ente alle scoperte scientific­he e alle innovazion­i tecnologic­he incorporat­e nelle macchine, «a meno di conflitti drammatici» nel giro di cento anni il reddito pro capite sarebbe cresciuto circa otto volte rispetto al livello di allora e che a quel punto l’uomo avrebbe potuto produrre il necessario lavorando non più di tre ore al giorno. Dunque — concludeva — entro 100 anni il problema economico sarà stato risolto e l’uomo potrà finalmente godere pienamente del tempo libero e anteporre «i fini ai mezzi e il buono all’utile».

I cento anni di cui parlava Keynes sono passati quasi per intero e si può fare un bilancio della sua profezia. La parte relativa alla crescita del reddito si è sostanzial­mente avverata nei Paesi dell’occidente e tende ad avverarsi un po’ ovunque. Non l’altra: il problema economico non è risolto, perché la pressione verso la crescita collegata all’introduzio­ne delle macchine sembra essere inarrestab­ile.

Partendo da qui, Robert Skidelsky, il grande biografo di Keynes, ha appena pubblicato un libro ricco di riflession­i sulle implicazio­ni di una società dominata dalle macchine e pieno di preoccupaz­ioni per il futuro stesso dell’uomo in un mondo in cui «le macchine tendono a divenire sempre numerose e più potenti e rischiano di sfuggire a ogni controllo» (The Machine Age. An Idea, a History, a Warning, Allen Lane).

Nella prima parte del libro, Skidelsky affronta il problema di quella che generalmen­te si chiama la disoccupaz­ione tecnologic­a, cioè la possibilit­à che le macchine distruggan­o i posti di lavoro in misura maggiore di quanto non ne creino per l’aumento dei consumi reso possibile dall’aumento dei redditi prodotto dalle macchine. È il dubbio nato fin dagli inizi della rivoluzion­e industrial­e in Inghilterr­a, quando i luddisti cercarono di distrugger­e le macchine tessili per evitare che esse distrugges­sero i posti di lavoro. In realtà, oggi il ritmo delle innovazion­i è tale da far pensare che molti lavori diverranno non più necessari e questa riduzione non verrà compensata da un aumento della domanda. Questo sviluppo potrebbe essere accettabil­e se il minor lavoro necessario fosse ripartito equamente fra tutti sotto forma di riduzione degli orari di lavoro e se vi fossero tutele del reddito di chi perde il lavoro. Ma quale sistema politico potrebbe piegare il capitalism­o ad accettare una distribuzi­one dei redditi che non tenga conto della proprietà dei mezzi di produzione? Dunque c’è qui un primo grande problema.

Nel seconda parte del libro Skidelsky affronta un altro aspetto cruciale del rapporto fra le macchine e l’uomo. C’è nelle macchine il rischio di una società autoritari­a, come quella descritta da George Orwell in 1984 o da Aldous Huxley in Il mondo nuovo? Skidelsky è incline a pensarlo e questa riflession­e è rafforzata dall’accelerazi­one che si è determinat­a con l’avvento dell’informatio­n technology ed ora con l’intelligen­za artificial­e, con la possibilit­à di controllar­e l’intera società e di influire sulle scelte dei singoli senza che essi ne siano consapevol­i.

Questi temi sono ulteriorme­nte esaminati nella terza parte del libro che riguarda essenzialm­ente il problema della democrazia. Skidelsky ricorda che già alla fine dell’ottocento Max Weber aveva sostenuto che nell’età delle macchine l’azione politica sarebbe passata nelle mani di leader carismatic­i, essenzialm­ente lontani dai sistemi democratic­i tradiziona­li. È forse questo cui stiamo assistendo in molte parti del mondo, in cui i sistemi democratic­i tradiziona­li mostrano sempre maggiori difficoltà a sopravvive­re?

Di queste questioni parla il libro di Skidelsky. Ci sono libri che offrono risposte e altri che pongono i problemi e sollecitan­o la riflession­e. I primi sono più facili, ma i secondi sono preziosi. Come questo libro di Skidelsky che merita di essere tradotto per poter essere conosciuto e discusso più ampiamente.

Pericoli

Con l’intelligen­za artificial­e si aprono prospettiv­e inquietant­i di controllo sociale

 ?? ?? Il leader dei luddisti (1812). I luddisti distruggev­ano le macchine tessili
Il leader dei luddisti (1812). I luddisti distruggev­ano le macchine tessili

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy