Il boomerang tecnologico Lavoro e libertà in bilico
In un saggio intitolato Possibilità economiche per i nostri nipoti, apparso nel 1930 su un settimanale e ripubblicato l’anno successivo nei suoi Essays in Persuasion, John Maynard Keynes osservava che il secolo XVIII aveva segnato uno spartiacque nella storia dell’umanità: «Dai tempi più remoti dei quali conserviamo traccia all’inizio del Settecento il tenore di vita medio, nelle aree civilizzate, non è cambiato di molto. Ha avuto i suoi alti e bassi, certo. Ma un cambiamento come quello che abbiamo conosciuto noi, inarrestabile e brutale, l’uomo non lo aveva mai visto».
Nel suo scritto, Keynes prevedeva che, per effetto di questo cambiamento dovuto essenzialmente alle scoperte scientifiche e alle innovazioni tecnologiche incorporate nelle macchine, «a meno di conflitti drammatici» nel giro di cento anni il reddito pro capite sarebbe cresciuto circa otto volte rispetto al livello di allora e che a quel punto l’uomo avrebbe potuto produrre il necessario lavorando non più di tre ore al giorno. Dunque — concludeva — entro 100 anni il problema economico sarà stato risolto e l’uomo potrà finalmente godere pienamente del tempo libero e anteporre «i fini ai mezzi e il buono all’utile».
I cento anni di cui parlava Keynes sono passati quasi per intero e si può fare un bilancio della sua profezia. La parte relativa alla crescita del reddito si è sostanzialmente avverata nei Paesi dell’occidente e tende ad avverarsi un po’ ovunque. Non l’altra: il problema economico non è risolto, perché la pressione verso la crescita collegata all’introduzione delle macchine sembra essere inarrestabile.
Partendo da qui, Robert Skidelsky, il grande biografo di Keynes, ha appena pubblicato un libro ricco di riflessioni sulle implicazioni di una società dominata dalle macchine e pieno di preoccupazioni per il futuro stesso dell’uomo in un mondo in cui «le macchine tendono a divenire sempre numerose e più potenti e rischiano di sfuggire a ogni controllo» (The Machine Age. An Idea, a History, a Warning, Allen Lane).
Nella prima parte del libro, Skidelsky affronta il problema di quella che generalmente si chiama la disoccupazione tecnologica, cioè la possibilità che le macchine distruggano i posti di lavoro in misura maggiore di quanto non ne creino per l’aumento dei consumi reso possibile dall’aumento dei redditi prodotto dalle macchine. È il dubbio nato fin dagli inizi della rivoluzione industriale in Inghilterra, quando i luddisti cercarono di distruggere le macchine tessili per evitare che esse distruggessero i posti di lavoro. In realtà, oggi il ritmo delle innovazioni è tale da far pensare che molti lavori diverranno non più necessari e questa riduzione non verrà compensata da un aumento della domanda. Questo sviluppo potrebbe essere accettabile se il minor lavoro necessario fosse ripartito equamente fra tutti sotto forma di riduzione degli orari di lavoro e se vi fossero tutele del reddito di chi perde il lavoro. Ma quale sistema politico potrebbe piegare il capitalismo ad accettare una distribuzione dei redditi che non tenga conto della proprietà dei mezzi di produzione? Dunque c’è qui un primo grande problema.
Nel seconda parte del libro Skidelsky affronta un altro aspetto cruciale del rapporto fra le macchine e l’uomo. C’è nelle macchine il rischio di una società autoritaria, come quella descritta da George Orwell in 1984 o da Aldous Huxley in Il mondo nuovo? Skidelsky è incline a pensarlo e questa riflessione è rafforzata dall’accelerazione che si è determinata con l’avvento dell’information technology ed ora con l’intelligenza artificiale, con la possibilità di controllare l’intera società e di influire sulle scelte dei singoli senza che essi ne siano consapevoli.
Questi temi sono ulteriormente esaminati nella terza parte del libro che riguarda essenzialmente il problema della democrazia. Skidelsky ricorda che già alla fine dell’ottocento Max Weber aveva sostenuto che nell’età delle macchine l’azione politica sarebbe passata nelle mani di leader carismatici, essenzialmente lontani dai sistemi democratici tradizionali. È forse questo cui stiamo assistendo in molte parti del mondo, in cui i sistemi democratici tradizionali mostrano sempre maggiori difficoltà a sopravvivere?
Di queste questioni parla il libro di Skidelsky. Ci sono libri che offrono risposte e altri che pongono i problemi e sollecitano la riflessione. I primi sono più facili, ma i secondi sono preziosi. Come questo libro di Skidelsky che merita di essere tradotto per poter essere conosciuto e discusso più ampiamente.
Pericoli
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