Era il 1933 e Hitler ordinò: niente più libertà di genere
Non posso tacere una mia fraterna simpatia per Giancarlo Sepe e per il lavoro di cui è artefice. Il suo primo spettacolo coincide con la mia prima recensione, era la Metamorfosi di Kafka e si svolgeva in una specie di garage in un quartiere in quel tempo (era il 1968) semi-periferico di Roma.
Quel garage era anche una cantina, una delle prime; e lo spettacolo era un’anticipazione a quello che si sarebbe chiamato teatro-immagine: un teatro in cui la parola degli attori ha poca risonanza o non esiste affatto e che è tutto diverso dall’attuale teatrodanza: nel teatro-immagine la musica non manca (in Sepe accade il contrario), ciò che non c’è è naturalmente la danza. Un’altra peculiarità del teatro del regista casertano è di aver lavorato con pari eccellenza di risultati componendo opere di teatro tradizionale. Dico di più: pensando ai tre messi in scena con Mariangela Melato, il suo Vestire gli ignudi di Pirandello, con Il piccolo Eyolf di Ibsen-castri e Temporale di Strindbergstrehler, resta uno dei più belli che io abbia visto in tanti anni di esercizio della critica teatrale.
Ma nel cuore degli spettacoli che Sepe ha realizzato senza partire da un testo altrui si nasconde una specie di ossessione. Torna con Femininum Maskulinum, nato in quella che è sicuramente, delle cantine romane, l’ultima ancora in vita, La Comunità — uno spettacolo prodotto dal Teatro della Toscana, dove si trasferirà, alla Pergola di Firenze, fino al 28 aprile. L’ossessione cui mi riferisco è un’epoca. Ne parla lo stesso regista: «Nella mia carriera ho sempre riservato un’attenzione alla Germania e a tutto ciò che è successo in quel Paese, ma non mi ero mai soffermato sul momento in cui tutto precipitò rapidamente il 30 gennaio 1933, il giorno in cui Hitler è nominato cancelliere. Ho scelto di iniziare per Femininum
il mio racconto della Germania narrata da Billy Wilder nel suo documentario Gente della domenica (…) adottando il punto di vista degli artisti che animavano i Kabaret berlinesi in quegli anni e aprendo il discorso di genere: dove c’è chi combatte il genere, ci sono anche quelli che lo vivono appieno». Ed ecco — ricordando i suoi Hermann del 1974,
Accademia Ackermann del 1978, La resistibile ascesa di Arturo Ui del 1985, Werther a Broadway del 2017, e Germania anni ’20 del 2019 — ecco i corpi nudi dell’uomo e della donna distesi su un asse che divide noi spettatori dagli attori che entreranno in scena aprendosi come una fisarmonica, chiudendosi come in un guscio, separandosi l’uno dall’altra e l’una dall’altro carnalmente ricongiungendosi.
Non è mai, lo ripeto, un ballo, non è una danza; è sempre una pura ebbrezza di vita. Ci si ama e non più ci si ama; ci si veste e ci si spoglia; si corre incontro a un destino. Con Pino Tufillaro, gli attori sono Sonia Bertin, Alberto Brichetto, Lorenzo Cencetti, Chiara Felici, Ariela La Stella, Aurelio Mandraffino, Antonio Marra, Riccardo Pieretti, Alessandro Sciacca e Federica Stefanelli.