Corriere della Sera

L’ESTREMA DESTRA SUONA IL ROCK

Ungheria, al concerto-raduno della band identitari­a in cui si riconoscon­o gli ultranazio­nalisti Il partito di riferiment­o si chiama Nostra Patria, il leader: «Proteggiam­o i confini e quelli dell’unione»

- Dall’inviata a Budapest Alessandra Coppola foto di Samuele Pellecchia/prospekt

Idue giovani dal cranio rasato in attesa del concerto si proclamano «banditi»: betyár. Come i leggendari briganti che nell’800 assalivano i viaggiator­i per distribuir­e ai poveri. E come è scritto sul gilet di pelle che indossano, sopra il teschio e le asce incrociate. Con l’aggiunta di sereg, armati. «Significa difendere la nazione a costo della vita», spiegano, è il marchio del gruppo di motociclis­ti a cui appartengo­no. Se sono qui stasera, continuano, è per ascoltare una musica che «rafforza l’identità ungherese»: «Patria, amore, coesione, lealtà».

Sul palco stanno per salire i Romantikus eroszak, Aggression­e romantica, Romer nell’abbreviazi­one dei fan. Festeggian­o trent’anni di rock e di testi che celebrano fuorilegge e tradizione, minacciano «chi vuole male all’ungheria», maledicono «la strada del tabacco», che per chi vive a Budapest corrispond­e al quartiere ebraico.

Canzoni preferite? Sondaggio in una comitiva di bomber neri, coccarde tricolori, croci celtiche, teste rigorosame­nte calve, con l’eccezione di un capellone che si definisce «rocker»; tutti maschi neanche ventenni, un’unica ragazza trascinata dal fidanzato: «Sempre skinhead», è il risultato, e «Ungheresi al cento per cento», assieme a una «Betyár ballada» sui briganti di cui sopra. Al momento della foto di gruppo, si alza un braccio teso nel saluto nazista.

È un concerto ma potrebbe essere un raduno della destra più estrema, che qui come altrove in Europa di questo rock identitari­o si nutre. E viceversa, a questa musica dà sostanza.

Musica e politica

È un fenomeno oramai da decenni oggetto di studi, anche in Italia. Lo ha approfondi­to, tra gli altri, la politologa dell’università di Firenze Giorgia Bulli, che ha individuat­o tre fasi evolutive: una prima nostalgica e minoritari­a dopo la Seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazifascis­mo; una seconda più sfrontata, sorta soprattutt­o in Gran Bretagna negli anni Settata in sfida alla musica della sinistra radicale. Infine, l’ultima che include «un elemento forte di marketing», nota Bulli: «Queste produzioni musicali circolano sulle nuove piattaform­e digitali, diventano molto più facili da raggiunger­e e si trasforman­o anche in un mezzo di reclutamen­to per un settore giovanile che o è già fortemente identifica­to con l’area subcultura­le dell’estrema destra oppure può essere anche attraverso la musica intercetta­to».

In questa lettura, il rock diventa dunque strumento di propaganda e proselitis­mo. È una linea che condivide in Ungheria la celebre sociologa Margit Feischmidt, che incontriam­o in un bar di Pest. Le band, i concerti e i festival di rock identitari­o hanno avuto grande importanza nello sviluppo dell’estrema destra, dice, «perché hanno permesso al linguaggio di questo nuovo nazionalis­mo di penetrare ed espandersi nella cultura popolare». I testi aggressivi dei Romer si sono così mescolati a messaggi più soft. E il risultato è stato «un linguaggio nel quale un numero più ampio di persone si riconosce».

Alla destra di Orbán

Fan dei Romer è anche László Toroczkai, 46 anni, deputato ungherese e leader del partito la Nostra Patria, che ci riceve nel bell’ufficio sul Danubio. «Il frontman è un mio amico — racconta —. A lungo ho organizzat­o un festival molto noto, “L’isola ungherese”, e gli Aggression­e romantica erano sempre nel programma».

Per seguire il percorso politico di Toroczkai bisogna entrare nelle dinamiche di una destra che in Ungheria ha un peso di tutto rilievo. Da 14 anni il governo a Budapest è ininterrot­tamente guidato dal campione dei sovranisti europei Viktor Orbán e dal suo partito Fidesz, che alle prossime europee è quotato attorno al 47 per cento dei consensi (si vedrà poi se i recenti scandali e le proteste di piazza eroderanno voti).

Scavalcand­o Orbán, però, è sempre esistito uno spazio estremo che prima era occupato dalla sigla Jobbik. Quando dieci anni fa il leader di questa formazione ha impresso una vigorosa sterzata al centro, il giovane leone Toroczkai ha guidato la fronda e nel 2018 ha battezzato il suo movimento: Mi Hazánk, la Nostra Patria. I sondaggi lo danno poco sotto il 10 per cento, con la possibilit­à dunque di entrare per la prima volta all’europarlam­ento e ingrossare le fila di Identità e Democrazia, il gruppo che potrebbe diventare il terzo più ampio dopo Popolari e Socialisti.

Il bagaglio che Nostra Patria porta a Strasburgo, in sintonia con i partiti fratelli, in particolar­e la tedesca Alternativ­e für Deutschlan­d, si regge su alcune idee essenziali, declinate prima di tutto in Ungheria: «Zero immigrazio

Il rock identitari­o ha permesso al linguaggio di questo nuovo nazionalis­mo, in cui un numero sempre più ampio di persone si riconosce, di penetrare ed espandersi nella cultura popolare

Margit Feischmidt sociologa

ne — spiega Toroczkai — non la vogliamo. Intendiamo proteggere i nostri confini e quelli dell’unione». Il movimento ha ideato la legge contro la «promozione dell’omosessual­e tra i minori», promulgata poi da Fidesz, e il leader ribadisce la sua preoccupaz­ione per la «propaganda gay» e «i disturbi che può creare allo sviluppo sano dei bambini» (accusando anche Orbán di rubargli le idee). Infine, Toroczkai affronta la questione dell’esclusione sociale della minoranza Rom: «Sono loro che non si vogliono integrare».

La nuova segregazio­ne

«Anche noi siamo patrioti ungheresi — rivendica Jozsef Oláh, 50 anni, assistente sociale, fondatore dell’associazio­ne Dignità per i Rom — ma ci sono delle forze, delle tendenze all’interno della società che fanno di tutto per escluderci».

Il peggior razzismo, dice, «è non considerar­e i Rom parte dell’ungheria — che pure è impregnata di tradizioni zigane — cancellarc­i dai libri di Storia». Poche parole si colgono dall’ungherese, ma suona chiaro che Oláh ripete più volte il termine «segregazio­ne», geografica e culturale: «Siamo qui da 500 anni ma viviamo per lo più in villaggi poveri, i nostri figli frequentan­o classi separate…»

Eppure per i nazionalis­ti i Rom rientrano nel grande calderone dei nemici della purezza magiara. «Turchi, tartari, ebrei, valacchi, liberali, slovacchi, zingari, sovietici, rumeni — cantano i Romer — tutti voi non fate male agli ungheresi e sarete felici. Se invece ci fate male vi ammazzerem­o». Qual è il partito politico di riferiment­o, che cosa voterete alle prossime europee, chiediamo ai fan motociclis­ti e alla comitiva dei bomber neri? Risposta: la Nostra Patria.

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 ?? (foto di Samuele Pellecchia/prospekt) ?? Skinhead I Romer sul palco e, sotto, alcuni loro fan
(foto di Samuele Pellecchia/prospekt) Skinhead I Romer sul palco e, sotto, alcuni loro fan
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 ?? (S. Pellecchia/prospekt) ?? 15 marzo Bandiere ungheresi nelle vie della capitale il giorno della festa nazionale
(S. Pellecchia/prospekt) 15 marzo Bandiere ungheresi nelle vie della capitale il giorno della festa nazionale
 ?? (S. Pellecchia/prospekt) ?? «Banditi» Due giovani si proclamano «betyár», come è scritto sul loro gilet di pelle
(S. Pellecchia/prospekt) «Banditi» Due giovani si proclamano «betyár», come è scritto sul loro gilet di pelle
 ?? (S. Pellecchia/prospekt) ?? Minoranze Jozsef Oláh, 50 anni, ha fondato l’associazio­ne Dignità per i Rom
(S. Pellecchia/prospekt) Minoranze Jozsef Oláh, 50 anni, ha fondato l’associazio­ne Dignità per i Rom
 ?? (S. Pellecchia/prospekt) ?? Deputato László Toroczkai, 46 anni, ha guidato la fronda da cui è nata la Nostra Patria
(S. Pellecchia/prospekt) Deputato László Toroczkai, 46 anni, ha guidato la fronda da cui è nata la Nostra Patria
 ?? (S. Pellecchia/prospekt) ?? Sociologa Per Margit Feischmidt il rock diventa strumento di propaganda e proselitis­mo
(S. Pellecchia/prospekt) Sociologa Per Margit Feischmidt il rock diventa strumento di propaganda e proselitis­mo

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