Superbonus, emendamenti per allentare il giro di vite
Ma il Mef vuole una nuova stretta. Intanto Dbrs conferma il rating
ROMA Nonostante gli allarmi del ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, la maggioranza e l’opposizione, spesso daccordo sul tema, spingono in Senato per allentare il giro di vite sul Superbonus deciso dal governo. Quasi tutti i 355 emendamenti al decreto di fine marzo presentati in Commissione Finanze comportano un aumento dei costi a carico del bilancio. Mentre Giorgetti, preoccupato per i conti e pronto a mettere sul piatto anche le dimissioni, vorrebbe una stretta ancora più forte, dopo aver realizzato che il conto della spesa per il 110%, entrato nel mirino delle agenzie di rating, continua a correre. Ieri Dbrs ha confermato la valutazione BBB (alto) e prospettiva stabile per il debito italiano, ma come Fitch, che si esprimerà il 3 maggio, ha sottolineato i rischi del 110. Il giudizio di Moody’s è atteso a fine mese.
Massimo Garavaglia, Lega Nord, presidente della Commissione, è pronto a fare da scudo. «Le modifiche che costano e non indicano dove recuperare le risorse — spiega — non saranno neanche esaminate. Le altre saranno riassunte dai relatori o dal governo e dovranno essere corredate dalla relazione tecnica della Ragioneria che attesti la consistenza delle risorse». Al Mef sono disponibili a ragionare, ma scettici sulla possibilità di trovare coperture valide e politicamente sostenibili,
Da qui al 2027 si scaricheranno detrazioni per quasi 40 miliardi l’anno sul debito e Giorgetti vuole ridurre questo peso, spalmandolo in 10 anni. Se l’estensione fosse però un’opzione per chi detiene i crediti, come prevedono gli emendamenti fotocopia di FI, Iv, Lega e M5S, si aiuterebbero gli incapienti, che rischiano di perdere i crediti eccedenti la capacità di detrazione dalle loro tasse (non possono più venderli), ma l’impatto sul debito sarebbe nullo se non negativo. Lo spalma-crediti funzionerebbe per alleggerire il debito solo se fosse obbligatorio, comunque una misura molto drastica, che penalizza molto chi ha margine per compensare in quattro anni.
Peggiorano i saldi di bilancio anche gli emendamenti di FI e Iv che puntano a trasformare le detrazioni non compensate per incapienza (ora sarebbero bruciate) in crediti di imposta spendibili per Iva, Imu e cedolare secca. Come costano, inevitabilmente, gli emendamenti che recuperano il 110% con sconto in fattura e cessione del credito in tutte le zone terremotate, dove copre la spesa non garantita dal contributo pubblico.
Il decreto ha fatto salvo il Centro Italia 2016 (con 330 milioni per il 24) e le domande approvate del sisma Abruzzo 2009. Dove però servono altri 300 milioni in due anni per garantire il 110% alle 4 mila domande ancora in istruttoria. Altri 50 sono stati chiesti per la ricostruzione di Ischia, 20 per chiudere quella dell’emilia 2012, altrettanti per il Molise, 5 per Catania, ma la Lega chiede fondi anche per i Campi Flegrei. Senza contare che il generale Figliuolo contava proprio su quel meccanismo (contributo più 110%) per riparare le 2 mila abitazioni colpite dall’alluvione in Emilia del 2022.
Poi c’è il problema, sempre nelle aree sisma, di chi ha rinunciato al contributo e optato per ricostruire con il Superbonus «rafforzato», con un tetto di spesa maggiorato del 50%. L’opzione era valida fino al 2025, ma adesso non c’è più sconto in fattura e cessione e chi non è partito con i lavori rischia la beffa. Solo a Catania il problema vale 50 milioni.