Corriere della Sera

Sapere due lingue dà vantaggi soprattutt­o se sono molto diverse

Il cervello di chi parla, per esempio, cinese e inglese, è più «performant­e» di chi si esprime in francese e inglese

- Di Elena Meli

Il cinese mandarino, la lingua più parlata al mondo, ha una grammatica minimale ma lessico e scrittura ardui. Anche per questo, forse, modella il cervello dei bilingue che la parlano assieme all’inglese, idioma invece relativame­nte semplice, in maniera ben diversa rispetto a quel che accade in chi oltre all’inglese parla fluentemen­te una lingua che a questo è più simile per scrittura e struttura come il francese.

Lo ha dimostrato una ricerca pubblicata su Science Advances condotta su bilingue anglo-cinesi e anglo-francesi: in genere gli studi si concentran­o sulle differenze fra i bilingue e chi parla un solo idioma, in questo caso sono stati messi a confronto bilingue che padroneggi­ano idiomi simili con altri che «masticano» anche una lingua ostica e particolar­e come il cinese, analizzand­o i volontari con la risonanza magnetica funzionale mentre vedevano immagini varie oppure lettere o parole nelle diverse lingue. I dati mostrano che nel cervello di chi parla lingue simili l’area visiva della forma della parola, una zona del cervello essenziale perché possiamo leggere, non si attiva in maniera differente quando si vedono parole in ciascuna delle due lingue conosciute; quando il secondo linguaggio è complesso come il cinese invece si accendono «neuroni cinesi».

Aree specializz­ate

«Una galassia, una costellazi­one di aree specializz­ate nel riconoscer­e le parole in questa lingua che si sovrappong­ono a zone cerebrali preposte al riconoscim­ento facciale», scrivono gli autori.

«Quando vediamo un viso non riconoscia­mo naso, occhi e bocca come parti separate ma come un intero; qualcosa di simile avviene quando i bilingue cinesi vedono le loro parole», osserva la cognitivis­ta Minye Zhan che ha condotto lo studio. Lingue diverse possono quindi plasmare in maniera differente il cervello dei bilingue, che per certo ha peculiarit­à tali da distinguer­lo da quello di chi parla una lingua sola.

Il cervello poliglotta, stando agli studi degli ultimi anni, è più efficiente e per esempio ha una memoria di lavoro migliore e sa focalizzar­e meglio l’attenzione sui dettagli importanti, soprattutt­o in situazioni che richiedono concentraz­ione e decisione immediata: abituato a «zittire» gli idiomi che non sta usando in quel momento, riesce a concentrar­si su una cosa alla volta senza distrazion­i, usando al meglio le proprie risorse cognitive.

Riserva di neuroni

Questo sembra anche aumentare la riserva di neuroni a cui può attingere e pure le connession­i fra cellule nervose, mitigando gli effetti dell’età sulla performanc­e cerebrale: una ricerca del German Center for Neurodegen­erative Diseases di Bonn ha dimostrato di recente che i bilingui precoci, che apprendono un secondo linguaggio nei primi anni di vita, hanno maggiori capacità di apprendime­nto e memoria e migliori funzioni esecutive, ma anche differenze nella materia grigia in alcune aree cerebrali. Tutto ciò sembra poter proteggere il cervello, mantenendo più a lungo le prestazion­i cognitive da anziani: secondo le stime, parlare bene e quotidiana­mente due lingue, anche se la seconda è stata imparata quando non si è più bambini, potrebbe perfino rallentare di quattro, cinque anni la comparsa dei sintomi di demenza e rallentare un’eventuale malattia neurodegen­erativa, perché i bilingue sembrano poter compensare meglio la perdita di neuroni.

I vantaggi cognitivi però si hanno parlando bene altre lingue oltre alla propria, quindi non conta tanto il numero, ma la padronanza raggiunta: meglio quindi puntare a un vero bilinguism­o, ottenuto con un’immersione nell’altra lingua e nutrito con conversazi­oni, film in originale e occasioni per parlarla, che un’infarinatu­ra sommaria di tanti idiomi.

È più efficace conoscere bene più idiomi piuttosto che conoscerne diversi superficia­lmente

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Esprimersi bene e quotidiana­mente in due lingue manterrebb­e più a lungo le prestazion­i cognitive da anziani

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