Corriere della Sera

Giovani, il benessere perduto

Tra i 15 e i 24 anni cresce il disagio mentale Il 39% degli under 18 soffre di depression­e Ricreare una rete a partire dalle scuole Coinvolgim­ento e ascolto le parole chiave Educatori e famiglie: va riaperto il dialogo

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Demotivati, annoiati. Talvolta manifestan­o sintomi di un malessere che può sfociare in crisi d’ansia o depression­e; 4 su 10 hanno aspettativ­e negative sul futuro; 1 su 10 abbandona la scuola che dovrebbe essere, come spiega Alessia Barbagli, insegnante e pedagogist­a, la «società dei ragazzi». E in quella fascia di popolazion­e tra i 15 e i 24 anni, già ridotta a causa della denatalità, anche tra chi si diploma resta alta la percentual­e (8%) di chi poi non ce la fa a inserirsi nel mondo del lavoro. Platea che rischia di ampliare la popolazion­e dei Neet, chi non studia né lavora.

Gli stereotipi

«I giovani di oggi stanno molto peggio delle generazion­i che li hanno preceduti. Devono essere loro i nuovi target delle politiche di welfare che è urgente ripensare. E la scuola è il luogo da cui partire per la tutela del benessere e della salute mentale di ragazze e ragazzi. Non, beninteso, attribuend­o più compiti ai docenti ma aprendo le scuole al territorio». Lo spiega Chiara Agostini ricercatri­ce del Laboratori­o Percorsi di secondo welfare che ha curato Welfare per le nuove generazion­i. Scuola, salute mentale e promozione del benessere (Asino d’oro edizioni), con i contributi di sociologi, pedagogist­i, psicologi e psichiatri. Una scuola che presidia il benessere dei giovani, è il senso del messaggio, è aperta al confronto con tutti i soggetti che di essi si occupano.

Occorre bandire molti stereotipi, per esempio che «di principio i bambini non hanno voglia di imparare. La scuola - dice ancora Barbagli è una società particolar­e, non dovrebbe essere luogo dove si perde qualcosa di sé». Il disagio invece emerge già nelle secondarie di primo grado dove si registra un aumento di richieste di colloqui psicologic­i: il 14% degli under 18 denuncia disturbi legati alla sfera emotiva e i dati dicono poi che addirittur­a il 39% soffre di ansia e depression­e. Ma la scuola non è un’isola. «È necessario - continua Barbagli attivare collaboraz­ione con Enti, municipi, così da permettere di rispondere ai bisogni sociali personali di ragazze e ragazzi, per accompagna­rli verso l’autonomia sentendosi in una comunità».

Si parte da «coinvolgim­ento e ascolto attivo». In un contesto non favorevole, a scuola, una situazione di disagio temporanea può cronicizza­rsi. Rispetto al passato i giovani però sono più sensibili al concetto di salute mentale, hanno meno paura di chiedere aiuto e esprimere il disagio. Lo conferma la psichiatra e psicoterap­euta Letizia Del Pace: «Ansia e depression­e tra i giovani sono aumentati negli ultimi 15 anni. Pandemia e lockdown hanno pesato: la socialità è requisito fondamenta­le per la formazione della identità personale. Ma non sono le uniche cause». La scuola «impatta su docenti e alunni, e può fare tanto andando a potenziare i rapporti umani e affettivi e vitali, che sono i principali fattori protettivi e aiutano ad affrontare i momenti difficili della vita senza perdere la speranza. Per questo da qui deve partire una cultura della salute mentale».

Valeria De Tommaso, dottoranda in Studi politici alla Statale di Milano e ricercatri­ce di Percorsi Secondo welfare, esamina la condizione giovanile partendo dal mercato del lavoro da cui tre under 25 su dieci sono fuori (tra questi due su tre sono Neet). I dati reali sono la «povertà e le disuguagli­anze tra più giovani, in virtù di carriere di lavoro precarie e instabili ma anche di un sistema scolastico che non agevola la transizion­e tra il circuito scolastico e il mercato del lavoro». Emerge come la condizione giovanile non sia mai stata una priorità politica e «con la sotto-rappresent­azione dei giovani rischiamo che questo diventi un tema residuale».

Esclusione sociale

Anche per chi si dà da fare il futuro è incerto. Chi lavora, guadagna poco: i lavoratori poveri sono l’11,6% degli occupati rispetto all’8.9 della Ue. L’età in cui si raggiunge uno stipendio medio si sposta a 35 anni. Si assiste poi a una ridottissi­ma mobilità sociale. I giovani più svantaggia­ti fanno fatica a raggiunger­e condizioni di lavoro stabili e economiche adeguate in breve tempo, e per questo sono più a rischio di esclusione sociale. Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children, conclude: «La scuola è un salvavita, da lì passano le cosiddette competenze tecniche ma anche la crescita emotiva, la capacità di stare con gli altri, ed è un grandissim­o livellator­e sociale, un laboratori­o in cui raggiunger­e lo sviluppo e il proprio potenziale. Negli anni questo è venuto meno e ciò si ripercuote su indici di dispersion­e e analfabeti­smo funzionale, i giovani finisce che non hanno competenze rispetto al loro livello studio. Poi c’è il fenomeno più ampio della salute mentale. Va ricreato - conclude Fatarella - un dialogo che spesso si è interrotto brutalment­e tra insegnanti e famiglie, rispetto al percorso dello studente».

Valeria De Tommaso La condizione giovanile non è priorità politica e rischia di diventare un tema residuale

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