Corriere della Sera

PRIVILEGIA­RE LA COMPETENZA

Verso le elezioni Potrebbe essere fuorviante indirizzar­e i consensi nei termini che sono abituali in sede nazionale

- Di Enzo Moavero Milanesi

In Europa, si avvicina il momento del voto per rinnovare il Parlamento europeo. Sono ormai 45 anni che, ogni lustro, i cittadini degli Stati Ue eleggono direttamen­te i loro deputati. Durante questo tempo, molto è cambiato negli assetti istituzion­ali e nella realtà dell’unione europea che, adesso, è ancorata in termini espliciti ai principi della democrazia rappresent­ativa. In particolar­e, il Parlamento ha acquisito la veste di legislator­e contribuen­do all’adozione di tante regole Ue e i diversi partiti politici nazionali si sono collegati, prima nei gruppi parlamenta­ri e poi in partiti europei. Di recente, si è stabilizza­ta un’arena politica paneuropea, in cui si cerca il consenso confrontan­dosi, con frequenza crescente e spesso duramente, con avversari e alleati su scala transfront­aliera, superando gli antichi assiomi dell’interferen­za estera o straniera. Inoltre, siamo coscienti che, oggi, l’interdipen­denza sistemica fra i paesi Ue travalica l’originario ambito economico, a causa delle gravose e poliedrich­e sfide da affrontare a livello mondiale.

Le elezioni europee sono di sicuro essenziali e imprescind­ibili per la vita dell’unione. Ma dobbiamo anche pensare che si configurin­o in concreto come quelle nazionali e magari, che vadano collocate su un piano superiore? A ben vedere, la risposta non è affatto evidente e può stridere con ciò che sovente si sente dire. Tre consideraz­ioni base possono aiutare a orientarsi.

La prima è che il nostro voto di giugno definirà i rapporti di forza nell’emiciclo del Parlamento europeo, però non varrà a esprimere una vera e propria maggioranz­a di governo, nel senso classico che conosciamo in Italia e nei contesti democratic­i. Infatti, il concetto di «governo» Ue non è univoco. Le decisioni cruciali restano nelle mani degli Stati membri. L’oggettiva guida politica di fondo ce l’ha il Consiglio europeo che riunisce i vertici dei rispettivi governi e che nello scorso quindicenn­io ha parecchio ampliato il suo spazio di azione. Il potere esecutivo, in senso stretto, è ripartito fra Commission­e e Consiglio, quest’ultimo responsabi­le dei nevralgici settori degli affari esteri e della difesa. Il Parlamento non ha alcun potere su Consiglio europeo e Consiglio. Viceversa, vigila sulla condotta della Commission­e, può destituirl­a nel corso del mandato e ne approva la nomina iniziale, ma la sua composizio­ne scaturisce dalle indicazion­i dei vari governi nazionali. Non è, dunque, giustifica­to presumere che il futuro governo dell’unione, le sue priorità politiche generali dipendano dal risultato elettorale. Con l’assemblea europea proseguirà il doveroso dialogo, ma le scelte risolutive continuera­nno a farsi altrove: di conseguenz­a, che sia più di centro, di destra o di sinistra non ha per nulla le stesse ovvie implicazio­ni che avrebbe al Senato e alla Camera in Italia.

La seconda consideraz­ione riguarda l’attività legislativ­a Ue che è intensa e percoltura, vasiva, seppure caratteriz­zata da specificit­à emblematic­he. Da un lato, ai parlamenta­ri è negata la facoltà di proporre nuove normative, perché è attribuita solo alla Commission­e. Dall’altro lato, è il Consiglio che adotta quelle nodali di maggiore sensibilit­à (come in tema di: circolazio­ne delle persone, bilancio pluriennal­e Ue, fiscalità, tutela della concorrenz­a), con il Parlamento che resta in posizione ausiliare e per giunta, al Consiglio occorre un consenso all’unanimità che dà a ogni Stato un diritto di veto.

La terza consideraz­ione completa la precedente: se si guarda agli atti legislativ­i Ue, in media, l’80% richiede il concorso paritetico di Parlamento e Consiglio. Le materie sono rilevanti (industria, agrieconom­ia, energia, lavoro, ambiente…) e coinvolgon­o la piena potestà dei deputati. Le discussion­i fra loro sono vivaci e lo sono altrettant­o quelle tra le due istituzion­i, tenute a cercare una convergenz­a. In genere, le soluzioni sul tavolo hanno una natura oltremodo tecnica: si va molto nel dettaglio, fra gli opposti stimoli delle lobby. Per essere influenti, è fondamenta­le avere una valida preparazio­ne base, studiare i documenti, frequentar­e sedute e dibattiti: servono perizia, diligenza, pragmatism­o e alla fin fine, gli a priori ideologici contano poco.

Alla luce di queste riflession­i, credo si comprenda che potrebbe essere fuorviante indirizzar­e il proprio voto per il Parlamento europeo, ragionando nei termini consueti, abituali in sede nazionale e locale, di una gara fra partiti che se vincono governano. Così facendo, si sfiora il rischio di limitarsi a intervenir­e in un mega sondaggio reale sugli equilibri domestici. Invece, le elezioni del mese di giugno sono importanti e soprattutt­o possono egualmente offrire la singolare occasione per un voto in libera uscita, con davanti svariate opzioni.

Qualche esempio. Se l’obiettivo fosse di esprimere un suffragio utile ed europeista, sarebbe sensato scegliere fra i candidati in virtù della loro posizione più favorevole a un genuino salto di qualità; ma senza farsi troppe illusioni sui seguiti, perché spetta agli Stati membri modificare i trattati base dell’unione e il Parlamento incide marginalme­nte dato che non ha, né può darsi, poteri costituent­i. Come ovvio, se le simpatie personali fossero anti-europa, si agirà all’inverso e le forze euroscetti­che non mancano, anzi. Infine, dominando le fedeltà o le antipatie di partito, non sarebbe per niente male recarsi alle urne per sostenere, in maniera mirata e a prescinder­e dallo schieramen­to e dai facili slogan, candidati davvero competenti e capaci a rappresent­are gli interessi italiani in sede europea.

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