La minaccia di Bibi «Invaderemo Rafah con o senza accordo» Gli Usa: cattiva idea
Netanyahu contro la Corte penale: non ha autorità
Il consiglio di guerra ristretto è già abbastanza soffocante per Benjamin Netanyahu. Neppure il governo allargato gli dà respiro. I due ministri oltranzisti e messianici lo minacciano a poche ore di distanza. «È avvertito: Israele non può fermare la guerra. Il premier mi ha assicurato che non accetterà intese sconsiderate», proclama Itamar Ben-gvir. Va oltre Bezalel Smotrich: «Non esistono mezze misure. Rafah, Deir El Balah, Nuseirat. Annientamento totale». L’ultimatum è evidente: ancora più macerie a
Gaza o sarà il governo a crollare. «Un ricatto inaccettabile» lo definisce Gadi Eisenkot, l’ex capo di Stato maggiore che ha lasciato l’opposizione per entrare nel gabinetto ridotto. Sembra pronto ad andarsene, ancora prima del suo leader Benny Gantz: «Non farò parte di una coalizione che non basa le decisioni solo sugli interessi nazionali».
Una fonte spiega all’agenzia di stampa France Presse che Netanyahu «aspetterà fino a stasera prima di inviare una delegazione al Cairo». La risposta che deve arrivare è quella di Hamas, Antony Blinken ripete che «l’offerta è generosa» e se non l’accettano, saranno i fondamentalisti «responsabili del prolungamento della guerra». Il segretario di Stato americano è atterrato ieri a Tel Aviv con una lista di interventi umanitari, in cima all’elenco resta il messaggio: «Non vogliamo un’operazione di terra a Rafah». L’incursione è una «cattiva idea» anche secondo Stéphane Sejourné, il ministro degli Esteri francese. Gli americani vogliono vedere un piano per l’evacuazione del milione e mezzo di civili ammassati sul confine con l’egitto, sfollati dal nord devastato, i palestinesi uccisi in 207 giorni sono quasi 35 mila.
Netanyahu sembra resistere alle pressioni. Ribadisce che le battaglie andranno avanti fino alla «vittoria totale». «Andremo a Rafah con o senza accordo», assicura a un gruppo di famigliari degli ostaggi e dei soldati caduti. Sono una piccola parte del movimento e sono legati ai coloni: sono contrari alla tregua e «pronti al sacrificio degli amati», mentre da mesi la maggior parte dei parenti urla nelle strade lo slogan «tutti a casa, tutti adesso».
Bibi, com’è soprannominato, è preoccupato dalla sua sopravvivenza politica e anche dalla possibile decisione della Corte penale internazionale all’aia di emettere mandati d’arresto per crimini di guerra contro i vertici politici e militari israeliani. «Non ha alcuna autorità sul nostro Stato, gli ordini sarebbero uno scandalo di portata storica, una dimostrazione d’odio antisemita». L’altra corte nella città olandese, quella Internazionale di Giustizia, ha invece respinto la richiesta del Nicaragua di ordinare alla Germania la sospensione dei rifornimenti militari a Israele. Resta aperto il caso per le accuse di genocidio a Gaza, intentato dal Sudafrica.
Un leader di Hamas riconosce che documenti risponde ad «alcune nostre richieste per il cessate il fuoco», ma l’organizzazione vuole garanzie sulla fine del conflitto. La seconda fase dell’accordo – scrive il Wall Street Journal – prevederebbe una tregua di 10 settimane con il rilascio progressivo degli ultimi ostaggi tenuti
La mediazione
Il segretario di Stato Usa, Blinken, è arrivato a Tel Aviv: «L’offerta ad Hamas è generosa»
La seconda fase
Il piano prevederebbe dieci settimane di tregua e il rilascio graduale degli ostaggi
dai terroristi, i primi 33 a tornare a casa sarebbero donne, minori, malati, anziani. Significherebbe quella fine della guerra che Netanyahu dice di non volere. Hamas sta aspettando le valutazioni dal nascondiglio a Gaza di Yahya Sinwar, il capo dei capi e pianificatore dei massacri del 7 ottobre nelle cittadine israeliane.