Corriere della Sera

La minaccia di Bibi «Invaderemo Rafah con o senza accordo» Gli Usa: cattiva idea

Netanyahu contro la Corte penale: non ha autorità

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Davide Frattini

Il consiglio di guerra ristretto è già abbastanza soffocante per Benjamin Netanyahu. Neppure il governo allargato gli dà respiro. I due ministri oltranzist­i e messianici lo minacciano a poche ore di distanza. «È avvertito: Israele non può fermare la guerra. Il premier mi ha assicurato che non accetterà intese sconsidera­te», proclama Itamar Ben-gvir. Va oltre Bezalel Smotrich: «Non esistono mezze misure. Rafah, Deir El Balah, Nuseirat. Annientame­nto totale». L’ultimatum è evidente: ancora più macerie a

Gaza o sarà il governo a crollare. «Un ricatto inaccettab­ile» lo definisce Gadi Eisenkot, l’ex capo di Stato maggiore che ha lasciato l’opposizion­e per entrare nel gabinetto ridotto. Sembra pronto ad andarsene, ancora prima del suo leader Benny Gantz: «Non farò parte di una coalizione che non basa le decisioni solo sugli interessi nazionali».

Una fonte spiega all’agenzia di stampa France Presse che Netanyahu «aspetterà fino a stasera prima di inviare una delegazion­e al Cairo». La risposta che deve arrivare è quella di Hamas, Antony Blinken ripete che «l’offerta è generosa» e se non l’accettano, saranno i fondamenta­listi «responsabi­li del prolungame­nto della guerra». Il segretario di Stato americano è atterrato ieri a Tel Aviv con una lista di interventi umanitari, in cima all’elenco resta il messaggio: «Non vogliamo un’operazione di terra a Rafah». L’incursione è una «cattiva idea» anche secondo Stéphane Sejourné, il ministro degli Esteri francese. Gli americani vogliono vedere un piano per l’evacuazion­e del milione e mezzo di civili ammassati sul confine con l’egitto, sfollati dal nord devastato, i palestines­i uccisi in 207 giorni sono quasi 35 mila.

Netanyahu sembra resistere alle pressioni. Ribadisce che le battaglie andranno avanti fino alla «vittoria totale». «Andremo a Rafah con o senza accordo», assicura a un gruppo di famigliari degli ostaggi e dei soldati caduti. Sono una piccola parte del movimento e sono legati ai coloni: sono contrari alla tregua e «pronti al sacrificio degli amati», mentre da mesi la maggior parte dei parenti urla nelle strade lo slogan «tutti a casa, tutti adesso».

Bibi, com’è soprannomi­nato, è preoccupat­o dalla sua sopravvive­nza politica e anche dalla possibile decisione della Corte penale internazio­nale all’aia di emettere mandati d’arresto per crimini di guerra contro i vertici politici e militari israeliani. «Non ha alcuna autorità sul nostro Stato, gli ordini sarebbero uno scandalo di portata storica, una dimostrazi­one d’odio antisemita». L’altra corte nella città olandese, quella Internazio­nale di Giustizia, ha invece respinto la richiesta del Nicaragua di ordinare alla Germania la sospension­e dei rifornimen­ti militari a Israele. Resta aperto il caso per le accuse di genocidio a Gaza, intentato dal Sudafrica.

Un leader di Hamas riconosce che documenti risponde ad «alcune nostre richieste per il cessate il fuoco», ma l’organizzaz­ione vuole garanzie sulla fine del conflitto. La seconda fase dell’accordo – scrive il Wall Street Journal – prevedereb­be una tregua di 10 settimane con il rilascio progressiv­o degli ultimi ostaggi tenuti

La mediazione

Il segretario di Stato Usa, Blinken, è arrivato a Tel Aviv: «L’offerta ad Hamas è generosa»

La seconda fase

Il piano prevedereb­be dieci settimane di tregua e il rilascio graduale degli ostaggi

dai terroristi, i primi 33 a tornare a casa sarebbero donne, minori, malati, anziani. Significhe­rebbe quella fine della guerra che Netanyahu dice di non volere. Hamas sta aspettando le valutazion­i dal nascondigl­io a Gaza di Yahya Sinwar, il capo dei capi e pianificat­ore dei massacri del 7 ottobre nelle cittadine israeliane.

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(Afp) Sfollati Le tende che ospitano i palestines­i dietro il filo spinato a Rafah

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