Corriere della Sera

Von der Leyen nell’angolo e l’azzardo sulle alleanze

- Di Paolo Valentino

C’è più di un’affinità elettiva tra il discorso con cui il presidente del Consiglio ha aperto la campagna di FDI per le elezioni europee e le cose dette lunedì sera da Ursula von der Leyen nel primo dibattito con i sette nani, gli Spitzenkan­didat delle varie famiglie politiche dell’unione. Entrambi, infatti, sia pure in modi diversi, hanno postulato un cambio di maggioranz­e in senso conservato­re in Europa. Giorgia Meloni ha scommesso addirittur­a su un improbabil­e rovesciame­nto politico copernican­o, tale da mandare all’opposizion­e socialisti e verdi. La presidente della Commission­e invece ha aperto per la prima volta a un’alleanza con Ecr, il gruppo dei Conservato­ri e Riformisti di cui Meloni è leader, per assicurars­i i voti necessari alla sua riconferma. Si tratta di due scommesse molto rischiose. Quella di Meloni perché fa finta di ignorare l’elefante nella stanza, l’estrema destra di Identità e Democrazia dove albergano i vari Salvini con il suo Vannacci-catenacci, Le Pen e gli «intoccabil­i» tedeschi di Afd. Senza questa non ci potrebbe essere infatti alcuna maggioranz­a di centro-destra, ma con questa nessuno a cominciare dal Ppe, e von der Leyen lo ha ripetuto a chiare lettere, pensa neppure lontanamen­te un approccio. Ma anche l’apertura soft di von der Leyen a Ecr appare strategica­mente un azzardo. «Cosa?», ha esclamato stupito il verde olandese Bas Eickout. Detto altrimenti, strizzando l’occhio alla destra, la presidente della Commission­e rischia di alienarsi socialisti, liberali e verdi, senza i cui voti non avrebbe alcuna maggioranz­a. In realtà, a rendere rischiose le scelte di Meloni e von der Leyen è il discorso del 25 aprile di Emmanuel Macron alla Sorbona. Dove, attorniato dai vertici del Paese a sottolinea­re che quella è una posizione sistemica, egli ha lanciato il messaggio di un radicale cambio di paradigma, senza il quale l’europa può morire: «Dipende solo dalle nostre scelte qui e ora». Di più, Macron ha di fatto rivendicat­o la primazia dei capi di Stato e di governo nelle scelte strategich­e e nelle nomine, tanto più in una fase cruciale per i destini d’europa. Il corollario dell’intervento è che, anche uscendo indebolito dalle urne di giugno, il capo dell’eliseo non rinuncerà a scegliere lui, insieme ai leader dei Paesi più importanti, il nuovo o la nuova Presidente della Commission­e, tenendo in mente che le sfide da affrontare richiedono personalit­à di grande spessore e visione politica. Qualità che Macron non sembra riconoscer­e a von der Leyen, la quale peraltro si appella alla legittimit­à di una procedura, quella degli Spitzenkan­didat, rinnegata dalla sua stessa nomina nel 2019, voluta proprio da Macron. Visto che il cancellier­e Scholz ha già scelto di appoggiarl­o su questa linea, appare più evidente l’azzardo italiano: «Meloni — commenta un diplomatic­o europeo — ha scelto di correre da capo di una fazione politica, ma così sminuisce il suo ruolo di leader di uno dei Paesi fondatori e rischia di non influire sulle scelte del Consiglio europeo».

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