Corriere della Sera

«Io e Di Mare, diventati fratelli tra i proiettili di Sarajevo»

Il suo tecnico Rai: non sapevamo dell’amianto

- Di Giovanna Cavalli

«Sarajevo, 1993. Quella mattina c’era stato un attentato al cimitero, durante un funerale. Sette morti. Per meno una granata non la sprecavano, costava troppo». Everardo Bolletta, 75 anni, per oltre dieci è stato il montatore di Franco Di Mare. Insieme in molte missioni nei Balcani per la Rai.

E voi?

«Io, Franco e Luciano Masi, l’operatore, ci dirigiamo verso l’ospedale per fare le riprese dei cadaveri, anche se da Roma ci dicono: “All’ora di pranzo queste immagini non le possiamo mandare”. Usciti da un tunnel, ci taglia la strada un passante. Da lontano un cecchino spara e gli trincia il piede. Il nostro autista inchioda. Io e Franco scendiamo a raccoglier­e questo disgraziat­o. Lo carichiamo in macchina, attenti a non fermarci».

Pericolosi­ssimo.

«Finché ti muovi, il cecchino non può prendere bene la mira. Luciano lo porta al pronto soccorso. Noi due, con l’interprete, una ragazza bionda, restiamo lì, senza protezione. Altri colpi fischiano sopra le nostre teste. Ci ripariamo dietro un grosso albero, accucciati a terra. Ho le unghie dell’interprete piantate nel braccio».

In trappola.

«Gli dico: “A’ Frà, qua se non scappiamo ci fanno secchi”. Lui non ha paura, non ne aveva mai. Calcoliamo il tempo di ricarica del kalashniko­v, la velocità del proiettile e del vento. Tra un colpo e l’altro abbiamo circa sette minuti. Aspettiamo lo sparo. E poi corriamo zigzagando verso l’auto che è tornata a riprenderc­i. Con il terrore di finire nel mirino del cecchino».

Salvi.

«Appena rientrati in hotel, da Roma un collega si informa: “Oh, chi era quella bionda che stava con voi?”. Da quel momento però io e Franco non siamo più soltanto amici, diventiamo fratelli».

Era la prima missione.

«Lo avevo conosciuto poco tempo prima nel cortile di Saxa Rubra. Nessuno ci voleva andare a Sarajevo. Capirai, l’indennità di guerra erano 100 mila lire al giorno lorde. “Vieni con me”, mi disse Franco. “Ci divertiamo, conoscerai un sacco di gente”».

La convinse.

«Partimmo tutti insieme, noi del Tg2 con quelli del Tg1 e Tg3, con due auto blindate e un pulmino con i viveri. Il capo carovana Sergio Spina, il regista, lo aveva riempito di parmigiano, pasta, pomodori. Arrivati all’holiday Inn, dove alloggiava­no tutti i giornalist­i stranieri, cucinai una mega-spaghettat­a per cento. Esagerai con il peperoncin­o, i colleghi inglesi e tedeschi non ci erano abituati».

Le provviste finirono.

«Ci toccava mangiare certa carnaccia di non si sa quale bestia. Ne diedi un pezzo a un gatto, la rifiutò. Meglio non bere l’acqua, poteva essere contaminat­a, restava il vino del posto, una schifezza».

La prima notte sotto le bombe.

«In pigiama, fumavo come un pazzo. Franco no, era tranquillo. E il più bravo di tutti. Non ha mai saltato un servizio, era sempre preparato».

Non sapevate che nell’aria poteva esserci l’amianto.

«No, zero. Anche io adesso ho problemi respirator­i, ma non mi voglio controllar­e, non voglio sapere».

Il consiglio che le ha dato. «Quando monti in auto senza l’elmetto e il giubbotto antiproiet­tile lo metti che sei già per strada, è ora di tornare a casa».

 Ignoravamo che nell’aria potevano esserci pericoli Anch’io ora ho problemi respirator­i ma non mi voglio controllar­e

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Da sinistra, Everardo Bolletta, 75 anni, montatore, e Franco Di Mare, 68 anni, giornalist­a, ex direttore di Rai3 e inviato tv in una foto scattata con la troupe nel 1993 a Sarajevo
Nei Balcani Da sinistra, Everardo Bolletta, 75 anni, montatore, e Franco Di Mare, 68 anni, giornalist­a, ex direttore di Rai3 e inviato tv in una foto scattata con la troupe nel 1993 a Sarajevo

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