Corriere della Sera

La ricercatri­ce Telethon: «Così si possono salvare più bambini»

- Carlotta Lombardo

«Ho ancora negli occhi i primi bambini entrati in reparto: camminavan­o sulle loro gambe, ma poi sono inesorabil­mente peggiorati. Molti di loro non ci sono più. Alle loro mamme, ai loro genitori, arrivati con un pizzico di speranza, ho dovuto far capire che non potevamo curarli. Se non trattata per tempo, la leucodistr­ofia metacromat­ica non lascia scampo». Francesca Fumagalli, 44 anni, è neurologa dell’unità di ricerca clinica dell’ospedale San Raffale guidata da Alessandro Aiuti. Si occupa di questa rarissima malattia genetica metabolica (colpisce uno ogni 100 mila nati) da una vita. Da quando, era il 2004, la terapia messa a punto nel 2010 proprio all’istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (Sr-tiget) di Milano ancora non esisteva. Da quella terapia si è arrivati a «un farmaco approvato nel 2020 in Europa e, da pochissimo, negli Stati Uniti: è in grado di salvare loro la vita con un’unica infusione. Preleviamo le cellule staminali ematopoiet­iche del paziente, le correggiam­o per poterci inserire le copie funzionant­i del gene, e gliele reinfondia­mo. Ad oggi abbiamo trattato più di 50 bambini, la terapia funziona ma non tutti possono riceverla perché deve essere iniziata prima della comparsa dei sintomi, o quando sono lievi. L’arma migliore sarebbe arrivare allo screening neonatale». Oggi Francesca Fumagalli è mamma di due bambini, Irene, 11 anni, e Tommaso, 9. Combatte al fianco di tutte le mamme che lottano per la vita dei loro piccoli. Una battaglia che, da 10 anni, Fondazione Telethon celebra con la campagna «Io per Lei», quest’anno il 4 e 5 maggio, in prossimità della Festa della Mamma. In 2.000 piazze italiane, con una donazione minima di 15 euro, saranno distribuit­i i «Cuori di biscotto» per aiutare la ricerca scientific­a sulle malattie rare. «Quando una malattia così terribile irrompe in una famiglia porta con sé un groviglio di tensioni, smarriment­o, disperazio­ne — continua la ricercatri­ce —. I bambini rischiano di perdere la vita in pochi anni, per dirlo ci vuole delicatezz­a ma bisogna anche sapere ascoltare». Le informazio­ni raccolte dal team del Tiget durante le visite serviranno in futuro per curare altri bimbi. O per i fratellini, che invece possono già ricevere la cura genica. «Ci sono mamme rare, eccezional­i, che ancora oggi, nonostante i loro bimbi non ci siano più, ci sostengono. Il momento più difficile però è adesso, che abbiamo una terapia approvata. Sapere che si sarebbero potuti salvare è un’esperienza dilaniante».

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