La fabbrica cinese? Missione italiana a Pechino per la filiera
Le condizioni di Urso, Dongfeng non ha deciso
Verso metà della settimana scorsa, una ristretta delegazione del ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) è arrivata a Pechino per una serrata serie di incontri con vari produttori di auto cinesi. Non era la prima trasferta del genere, perché già in novembre c’era stata una prima presa di contatto. Questa volta però i colloqui sono stati più specifici secondo fonti informate di Roma. Soprattutto con i manager di Dongfeng Motor, si è discusso delle modalità e dei termini in base ai quali il gruppo della Repubblica popolare potrebbe lanciare una filiera di produzione in Italia.
A guidare la delegazione di Roma era Amedeo Teti, posto dal ministro Adolfo Urso a capo del dipartimento del Mimit che si occupa di politiche per le imprese. L’obiettivo, ufficiale da tempo, è far sì che la produzione di auto e veicoli commerciali in Italia arrivi al massimo della capacità installata di circa 1,5 milioni di mezzi all’anno. Oggi Stellantis, l’unico produttore nel Paese,
mira ad arrivare a un milione di veicoli nel complesso. Potenzialmente ci sarebbe dunque spazio per un investitore cinese disposto a produrre varie centinaia di migliaia di mezzi all’anno, più di quanto trapelato fin qui.
Dongfeng, che ha la sua sede a Wuhan, è controllata al 100% dallo Stato ed è l’ottavo gruppo auto cinese per vendite con l’equivalente di 12 miliardi di euro di fatturato nel 2023 (contro i 189,5 miliardi di Stellantis) ha confermato il suo interesse per l’italia. Ma entrambe le parti indicano alcune condizioni. I manager cinesi sperano di poter utilizzare sussidi pubblici di Pechino all’internazionalizzazione delle imprese, così come sussidi italiani per l’attrazione degli investimenti. A Roma il ministro Urso e i suoi collaboratori si dicono attenti al rispetto dei limiti europei agli aiuti di Stato, chiedono che un eventuale investitore cinese si impegni all’uso delle filiere di componentistica italiane; in ogni caso il governo resta molto attento al rispetto della proprietà intellettuali dei fornitori di parti.
L’italia presenta comunque alcuni elementi di interesse per Dongfeng, che punta a costruire direttamente all’interno del mercato europeo auto elettriche medio-piccole e a prezzi contenuti. In primo luogo, c’è la questione dei marchi. I consumatori esteri potrebbero essere riluttanti a comprare auto dal nome cinese, ma proprio per aggirare ostacoli del genere Dongfeng ha già avviato in Asia jointventure con marchi di Honda o di Nissan. Nel caso dell’italia, il Mimit detiene ancora la proprietà intellettuale di numerosi vecchi marchi italiani fuori produzione da oltre cinque anni che potrebbe cedere ai cinesi a poco prezzo.
Resta poi aperta la questione degli impianti e delle infrastrutture. In Italia c’è spazio per aumentare la produzione di auto non solo a Mirafiori, ma anche negli stabilimenti di Atessa in Abruzzo, ad Avellino e nelle Marche. C’è poi un interesse cinese, evidente da anni sul terreno, ad utilizzare sempre di più i porti di Taranto e anche di Brindisi.
Un gran numero di dettagli sembra dunque sul tavolo, nella trattativa con Dongfeng. Ma quest’ultima non è chiusa. Teti e la sua squadra a Pechino hanno incontrato anche altri produttori auto cinesi e questa scelta sembra una spia del fatto che Dongfeng stessa potrebbe non aver ancora preso una decisione finale. In questo il precedente di Byd, il primo produttore di auto cinese e del mondo, è emblematico: in anni recenti ha condotto con la Spagna una trattativa simile a quella che Dongfeng sta conducendo ora con l’italia, per poi accettare invece l’invito dell’ungheria a costruire un impianto a Seghedino. Anche Dongfeng potrebbe essere impegnata in colloqui paralleli con un governo d’europa centrale o orientale, forse proprio quello di Viktor Orbán. Molto probabilmente è per questo che Urso tiene aperti anche altri canali.
Certo ai cinesi interessa produrre in Europa, anche per aggirare eventuali dazi sulle loro auto che ora sono in elaborazione a Bruxelles. Al governo di Pechino interessa anche che alcuni dei principali governi europei siano più legati alla Cina da interessi economici immediati, nella speranza che si possano opporsi a dazi o ad altre restrizioni contro la Repubblica federale. E’ la linea che i cinesi stanno seguendo con la Germania di Olaf Scholz. Ma anche Giorgia Meloni al G7 di giugno in Italia potrebbe ricevere domande in proposito dai suoi alleati tradizionali.
Società di Stato
I colloqui con l’ottavo gruppo cinese, controllato al 100% dallo Stato