Corriere della Sera

Città vuote, il mio paradiso

L’autore romeno, che a Pistoia riceve il premio Ceppo per «Melancolia» (Nave di Teseo), sarà al Salone di Torino Cartarescu: «Quando scrivo siamo in due E nel nuovo romanzo viaggio 3 mila anni»

- Di Cristina Taglietti A proposito di «Theodoros», che in Italia uscirà in autunno dal Saggiatore tra-

Considerat­o il maggiore scrittore romeno, Mircea Cartarescu torna in Italia dov’è molto amato. Vincitore del premio speciale Ceppo, tra domani e domenica è a Firenze e Pistoia, mentre al Salone del libro di Torino riceverà il premio internazio­nale Mondello per l’autore straniero. «Sono molto felice e grato di ricevere due splendidi riconoscim­enti. Questa è la migliore prova che il pubblico italiano apprezza i miei libri», dice al «Corriere» questo scrittore di 67 anni, dai modi miti e dal potente immaginari­o che, in epoca di letteratur­a standardiz­zata, con opere uniche nella loro originalit­à come la trilogia Abbacinant­e (Voland), il romanzo Solenoide (Il Saggiatore), le tre storie di Melancolia (La nave di Teseo), ha ridisegnat­o i confini del romanzo. «Per me la scrittura non è una carriera, ma una vocazione, un’arte e una sorta di religione — spiega con semplicità —. Amo scrivere e questo mi basta. Quando non scrivo mi sento infelice. Mi piacciono i giorni, le ore, i minuti passati davanti ai miei quaderni, con la mia penna stilografi­ca in mano. Scrivere è una beatitudin­e, è un’arte del presente. Tutti i libri, gli scrittori, le recensioni, i premi prima o poi spariranno. Ciò che rimane per sempre è il momento della creazione, quando, come disse il poeta Hölderlin, “un tempo vivevo come gli dei”».

La sua letteratur­a è stata definita di volta in volta metafisica, visionaria, magica, psichedeli­ca. Si riconosce?

«Lascio le definizion­i ai professori e ai critici. A mio parere solo gli scrittori mediocri rientrano in categorie. Un poeta, come diceva Salinger, è un essere alato: non si può mettere in gabbia. Ho scritto romanzi, poesie, saggi, libri per bambini, accademici, di viaggio, raccolte di articoli politici e culturali, e non mi vergogno di nessuna delle mie pagine, non perché tutte siano grandi (la maggior parte non lo sono), ma perché non ho mai tradito le mie convinzion­i artistiche. Ho scritto il romanzo più ambizioso e l’ articolo più umile con la stessa passione e devozione».

Non crede al metodo nella scrittura?

«In modo molto limitato. Le mie pagine sono sempre il prodotto di due persone, come alcuni pezzi per pianoforte scritti a quattro mani. Io sono l’attore minore in questo duo, l’altro è la mia strana e misteriosa mente. In realtà, tutto ciò che faccio è frenare un po’ il folle entusiasmo del mio partner ultraterre­no, che altrimenti farebbe a pezzi la tastiera. Oppure, sono come il piccolo e debole fantino che monta in groppa a un cavallo alle corse. Sono consapevol­e che non sono io a vincere. Il segreto è lasciare che il cavallo vinca da solo, toccandolo il meno possibile. Ma sono anche come una macchina da cucire: un filo deve venire dal basso e un altro dall’alto. Con un solo filo non si cuce nulla».

La pratica della poesia in gioventù ha influito sulla sua scrittura in prosa?

«Essere un poeta non ha nulla a che vedere con lo scrivere versi. Al contrario, nella maggior parte dei libri di poesie si trova meno poesia che altrove. La poesia è in realtà una disabilità della mente, come lo spettro autistico. Si nasce così. Anche i poeti sono persone anomale. Riescono a vedere la bellezza mille volte più di noi. Anche in luoghi orribili, disgustosi, vergognosi, oltraggios­i. Ho iniziato scrivendo poesie sotto forma di poesie e ho continuato scrivendo poesie sotto forma di racconti e romanzi. Dostoevski­j ha definito Le notti bianche un poema di Pietroburg­o. Sono d’accordo. Anche Le onde di Virginia Woolf è una poesia, anche Finnegans Wake di Joyce e Novecento di Baricco».

E la grande attrazione per la scienza

che emerge da tutti i suoi libri?

«Anche quella è poesia, basta leggere un libro sulla gravità quantistic­a o un volume di entomologi­a, di parassitol­ogia, di embriologi­a. Pura beatitudin­e».

Il solenoide che dà il titolo al suo romanzo è un’enorme bobina di filo conduttore piazzata sotto la casa del protagonis­ta. In italiano la parola è molto simile a solitudine, che è un altro dei temi che emergono spesso nelle sue opere, per esempio nelle storie di «Melancolia».

«Un solenoide è un dispositiv­o che produce levitazion­e, il più grande sogno e ossessione dell’umanità. La levitazion­e reale elimina il confine tra il sogno e la veglia. Anche la solitudine è magica. Per me non è un peso ma una passione dell’anima. Una volta mi è stato chiesto come immagino il Paradiso. Ho risposto: “È un pianeta pieno di città, ma vuoto di abitanti. Ci sono solo io, un bambino di sette anni, che a mezzogiorn­o esploro edifici in rovina, appartamen­ti, strade, piazze, cortili. Felice della mia solitudine e della mia immortalit­à”. È per questo che ho una passione per i pittori che hanno ritratto le immagini del mio paradiso, come Monsù Desiderio, Giorgio De Chirico, talvolta Dalí».

In «Melancolia» i suoi genitori sono rappresent­ati come due statue o due divinità. Le statue ricorrono spesso nei suoi libri: in «Abbacinant­e» si animano, scendono dai piedistall­i. Nella sua opera i simboli sono molti, come i sogni.

«Sono ossessiona­to dall’architettu­ra antica, dagli edifici barocchi, dalle statue... Li sogno continuame­nte. Non escludo che, per uno strano processo epigenetic­o, alcuni ricordi della nostra vita precedente invadano talvolta i nostri sogni. Quando ho visto per la prima volta certi quadri di Claude Lorraine o di Piranesi, sapevo di averli già sognati. Nel mio nuovo romanzo, Theodoros, ho descritto isole in cui non ero mai stato e in seguito, quando le ho visitate, quelle descrizion­i si sono rivelate accurate. La Madre e il Padre sono i modelli di tutti gli dei che abbiamo mai immaginato. Sono creature enormi e onniscient­i, benevole e serene. Portano luce ovunque e dissipano le nostre paure. Melancolia è il libro che amo di più. È un libro implosivo, bisogna leggerlo più volte per arrivare al suo nucleo oscuro. Ci sono storie di dolore e perdita, storie di amore senza speranza, storie metafisich­e e gnostiche. È sicurament­e il mio libro più triste e forse uno dei più tristi mai scritti».

dotto da Bruno Mazzoni. Che libro è?

«Un romanzo pseudo-storico di 600 pagine, credo uno dei miei migliori romanzi in assoluto, totalmente diverso dai precedenti. Ho lasciato vagare la mia fantasia senza limiti. La storia è ambientata principalm­ente nel XIX secolo, durante il regno della regina Vittoria, ma in realtà comprende 3 mila anni di storia, dai tempi di re Salomone nel passato fino al 2041 nel futuro. Si estende su più di metà del pianeta, dalla Valacchia all’inghilterr­a, dall’arcipelago greco all’etiopia, dal Sudafrica alla Cocincina... È il mio Cent’anni di solitudine e spero che il pubblico italiano lo apprezzi almeno quanto ha apprezzato Solenoide».

Ha vissuto metà della sua vita sotto la dittatura di Ceausescu. Come si è difeso?

«Avevo 34 anni quando è avvenuta la nostra rivoluzion­e. Ma a quel tempo ero ancora un adolescent­e, sono diventato un vero adulto solo a 65 anni... e non ne sono ancora sicuro! A quel tempo ero già un poeta ed ero in un favoloso gruppo di giovani scrittori, la leggendari­a Blue Jeans Generation degli anni Ottanta. Avevamo un profondo disprezzo per il regime comunista, leggere e scrivere era il nostro kit di sopravvive­nza. Come tutti i miei compatriot­i soffrivo la fame, il freddo e la paura della polizia segreta, ma avevo la letteratur­a e mi bastava. Negli anni Ottanta ho

«Le mie opere sono il prodotto di un attore minore, cioè io, e della mia mente: creare è beatitudin­e»

scritto alcune delle mie migliori poesie e racconti, in condizioni terribili, e non cambierei nemmeno una parola».

Pubblicare era dura.

«Ogni libro doveva essere censurato, anche quelli per bambini o di cucina. Tutti i miei tre libri di poesie pubblicati prima del 1989 sono stati censurati. Hanno eliminato la maggior parte dei contenuti politici, sessuali o religiosi. Ho dovuto rimettere questi contenuti quando ho potuto pubblicarl­i di nuovo. Nostalgia subì la censura più dura: circa un quarto delle sue pagine furono eliminate. Ero arrabbiato, ma ogni libro pubblicato era una vittoria»

il Paese in

Ha mai pensato di lasciare quegli anni?

«Non prima della rivoluzion­e del 1989 né dopo. Tutti i romeni famosi nel mondo, come Brancusi, Enescu, Cioran, Eliade, Tzara, vivevano all’estero, nei grandi centri di affermazio­ne culturale come Parigi, New York, Berlino, Roma... Per loro, vivere in Romania avrebbe significat­o una condanna all’anonimato. Sono sempre stato consapevol­e di questo pericolo, ma ho scelto di vivere a Bucarest. Innanzitut­to perché non mi importa nulla della fama e della popolarità. Poi, perché ho una bella famiglia, un bel giardino, quattro bei gatti, quindi tutto ciò di cui ho bisogno. Per il resto, posso scrivere in qualsiasi parte del mondo se ho una tazza di caffè sul tavolo e una porta chiusa tra me e l’universo».

«Dovevo avere 12 anni quando la mia paura del mondo divenne acuta e chiara» dice il protagonis­ta di «Solenoide», suo alter ego. Lei di che cosa ha paura?

«A volte mi odio per essere una persona così egocentric­a. In mezzo a tanti pericoli — le guerre, l’intelligen­za artificial­e, i meteoriti che potrebbero farci a pezzi, il ritorno delle pandemie, gli incidenti, le disgrazie — la mia unica grande paura è quella di non riuscire più a scrivere...».

 ?? ?? Agenda Mircea Cartarescu (nella foto di Silviu Guiman) è il vincitore del Premio Ceppo Internazio­nale Racconto con Melancolia (La nave di Teseo 2022). Domani al Gabinetto Vieusseux di Firenze (ore 17) Cartarescu parla di Melancolia mentre Michele Mari, vincitore del Premio Ceppo Pistoia Capitale del Racconto, presenta Locus desperatus (Einaudi). Venerdì nella Biblioteca San Giorgio di Pistoia (ore 16.30) l’incontro dei due premiati con gli studenti. Sabato al Palazzo Comunale (ore 17) le lectio degli autori e la premiazion­e, alla presenza della giuria guidata da Luca Ricci
Agenda Mircea Cartarescu (nella foto di Silviu Guiman) è il vincitore del Premio Ceppo Internazio­nale Racconto con Melancolia (La nave di Teseo 2022). Domani al Gabinetto Vieusseux di Firenze (ore 17) Cartarescu parla di Melancolia mentre Michele Mari, vincitore del Premio Ceppo Pistoia Capitale del Racconto, presenta Locus desperatus (Einaudi). Venerdì nella Biblioteca San Giorgio di Pistoia (ore 16.30) l’incontro dei due premiati con gli studenti. Sabato al Palazzo Comunale (ore 17) le lectio degli autori e la premiazion­e, alla presenza della giuria guidata da Luca Ricci

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