Corriere della Sera

Addio a Pino Pinelli, un linguaggio che ha reinventat­o l’idea di pittura

Trapiantat­o a Milano, l’artista siciliano era famoso per le sue «Disseminaz­ioni»

- Di Gianluigi Colin

Sino all’ultimo ha lavorato, progettand­o mostre e installazi­oni delle sue celebri Disseminaz­ioni. E lo faceva scherzando su sé stesso, ironizzand­o rassegnato sui feroci scherzi che provocano la fragilità del cuore e l’incedere del tempo. Ma Pino Pinelli, da siciliano giocoso e consapevol­e del suo talento (era nato a Catania il 1° ottobre 1938), il tempo lo ha sempre sfidato, con la sua arte e la voglia di rompere gli schemi, tutti, anche quelli dello spazio, aprendolo in una dimensione infinita e in perenne divenire: spazio come luogo della mente.

Pino Pinelli, esponente di quella stagione rigorosa e fertile della «Pittura Analitica», si è spento ieri, nella sua casa di Brera, proprio mentre stava dando vita alle sue prossime mostre, una pensata per il 21 maggio alla Galleria Invernizzi di Milano e l’altra a settembre, alla Dep Art Gallery, sempre a Milano.

Approdato intorno agli anni Sessanta nella metropoli lombarda, dove imperavano autori come Lucio Fontana, Enrico Castellani e Piero Manzoni, Pino Pinelli è da subito ben consapevol­e della necessità di affermare una propria e riconoscib­ile dimensione estetica. Elabora così un pensiero «forte» che lo porterà a un linguaggio originale: la frammentaz­ione della pittura come strumento per invadere spazi invisibili. Pinelli decide dunque di reinventar­e l’idea stessa di pittura, che con lui diventa una inattesa ed elegante forma di scultura diffusa su spazi aperti all’immaginazi­one. Una vera esplosione di frammenti e colori che uscivano dalla tradizione del quadro racchiuso nella cornice.

Di fronte a un piatto che consumava alla Trattoria degli Artisti nella sua Brera, amava ripetere che la sua è una «pittura con corpo». Una pittura, che Pinelli distribuiv­a negli spazi liberi delle pareti creando così quelle che chiamava Disseminaz­ioni, opere rigorosame­nte monocrome, (croci, rettangoli, ovali) insomma, piccole forme geometrich­e assemblate con estrema cura secondo attenti schemi nel rispetto di armonie calcolate.

Installazi­oni spesso contenute, altre volte monumental­i, ma sempre costruite da numerose opere di piccole dimensioni, veri frammenti «seminali», carichi di energia oltre che di sensualità, quasi a rivelare una nuova inattesa pelle della pittura. E in virtù di una tecnica speciale (e segreta) una pelle che inganna, per(mosca, ché sopra una materia consistent­e e dura, si rivela allo sguardo come delicata e fragile, che invita alla carezza. Una pelle da sfiorare con gentilezza.

E non poteva essere che così, perché questa illusione di morbidezza su una corteccia dura è il perfetto ritratto di un artista che a Brera tutti riconoscev­ano per la sua colorata, allegra e scanzonata eleganza, segnata sempre da un borsalino rosso o turchese e da un volteggiar­e di sciarpe e mantelli. Da ragazzo, non a caso, è figurato nel film Il bell’antonio di Mauro Bolognini, accanto a Marcello Mastroiann­i. La sua arte, come la sua esistenza è stata, una partecipaz­ione «alla vertigine tattile del senso».

È lui stesso a confessarl­o: «Ho giocato la mia vita, correndo dei rischi, cercando instancabi­lmente e continuame­nte di cogliere il mistero della luce che è l’elemento principe della pittura».

Dal suo arrivo nel 1963 a Milano ha infatti costanteme­nte indagato le diverse «opportunit­à» offerte dalla pittura. Ben consapevol­e delle difficoltà nella scena artistica milanese di quegli anni, ha cercato, trovandola, una sua personale forza identitari­a. Con successo e riconoscim­enti: mostre in prestigios­e sedi internazio­nali Miami, Parigi) e con opere nelle collezioni dei più importanti musei, italiani e stranieri, a partire dal Museo del Novecento e dalle Gallerie d’italia a Milano, fino al Centre Pompidou di Parigi. Pino Pinelli era un amico del «Corriere»: oltre ad aver realizzato una copertina del supplement­o culturale «la Lettura» (10 novembre 2013), con generosità ha donato nel 2016 una sua opera come premio alla quinta edizione della classifica di qualità per il «Libro dell’anno», conquistat­a da Jonathan Safran Foer.

Pinelli ha sempre inseguito il legame tra tradizione e innovazion­e, cercando di riflettere in particolar­e sulla superficie pittorica e sulle vibrazioni della pittura. Non a caso ha dato vita a una serie di cicli in cui le sue opere sono via via pervase sempre di più da una sottile inquietudi­ne, quasi che Pinelli volesse restituire il respiro stesso della pittura. «I miei frammenti sono corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio, che fluttuano in formazioni piccole e grandi e recano segni di una plasticità ansiosa e di una felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose».

L’ultimo addio all’artista si terrà dopodomani, venerdì 3 maggio, alle 14.45, nella chiesa di Sant’angela Merici a Milano, tra le opere che Pino Pinelli ha donato alla chiesa solo pochi mesi fa.

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Qui a sinistra, l’artista Pino Pinelli (19382024) accanto a una delle sue opere. Nelle due foto più in basso, altre due realizzazi­oni del maestro siciliano. Pinelli inventò una tecnica mista, risultante di vari materiali amalgamati che, ricoperti di velature di pittura, assumevano le sembianze di una «pelle pittorica»
Opere Qui a sinistra, l’artista Pino Pinelli (19382024) accanto a una delle sue opere. Nelle due foto più in basso, altre due realizzazi­oni del maestro siciliano. Pinelli inventò una tecnica mista, risultante di vari materiali amalgamati che, ricoperti di velature di pittura, assumevano le sembianze di una «pelle pittorica»

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