Corriere della Sera

Non siamo fatti per soffrire

Medicina, il dovere di combattere il dolore. E di difendere la sanità pubblica

- Di Giuseppe Remuzzi

Chi è Giulietta? E perché le sanguisugh­e? Giulietta d’azeglio è la figlia di Alessandro Manzoni e di Enrichetta Blondel. Ebbe un episodio febbrile, durato parecchi giorni (siamo nel 1832), e così fu trattata come si faceva a quel tempo con le «sanguette». Era il tempo in cui si pensava che le malattie fossero frutto di un equilibrio fra essere rilassati ed eccitati e se uno lo era troppo, eccitato, doveva essere trattato con salassi ed eventualme­nte gli venivano applicate sanguisugh­e che sembrava curassero anche tanto d’altro: stati infiammato­ri, mal di testa, ascessi e, secondo qualcuno, persino insonnia. Un bel giorno i farmacolog­i cominciaro­no a studiarle, le sanguisugh­e, con un metodo scientific­o e ci trovarono dentro sostanze curative molto interessan­ti: un anticoagul­ante, enzimi, e altre molecole preziose che si trovano nella saliva e di cui sentiremo parlare ancora per un po’.

Questo libro parla di medicina e di scienza ma non si può fare a meno di discutere del Servizio sanitario nazionale, la cosa più preziosa che abbiamo, di cui dovremmo essere gelosi e che rischiamo di perdere. Parla dei medici, di com’erano e come sono, parla della forza di questi medici, del loro coraggio, delle loro paure, ma anche delle loro debolezze (se si ammala la dottoressa del pronto soccorso…). Parla di come i dottori dovrebbero comunicare con gli ammalati, se ne fossero capaci. Qualcuno lo è certamente, altri meno, altri per nulla («Lei ha un tumore, si cerchi un chirurgo»). Ma parla anche di imprese straordina­rie di cui sono capaci medici fuori dal comune, parla di chi col bisturi sa fare miracoli e di chi ha capito per primo che operare, per quanto bene, serve a poco se poi l’ammalato muore di infezioni. La storia della medicina si colora di giallo certe volte, e quello che è successo con le prime trasfusion­i non ha niente da invidiare ai racconti di Agatha Christie.

Si parla del dolore, naturalmen­te. A Baghdad, fra il 900 e il 1000 dopo Cristo, c’erano farmacie famosissim­e: «I malati vengono da noi per il dolore o perché hanno paura: l’oppio funziona per tutti e due, e anche per facilitare il passaggio all’aldilà». Cos’altro avrebbe potuto mettere Elena, figlia di Zeus, nel vino di Telemaco per attenuare l’angoscia dei ricordi? Nessun faraone si sarebbe mai fatto seppellire senza il suo corredo di papaveri di oppio. Ma oggi sono almeno un miliardo le persone che soffrono, per tumori e malattie croniche per esempio, e quel dolore che non passa mai ti toglie il sonno e il desiderio di stare con gli altri, la voglia di vivere. Non siamo fatti per soffrire, medici, infermieri e la società tutta hanno una grande responsabi­lità nei confronti di chi soffre. Non possiamo accettare che milioni di ammalati al mondo continuino a soffrire, anche se succede lontano da noi.

Si parla di infermieri, in questo libro. Del perché il loro lavoro è così importante per gli ammalati e se debbano essere davvero tutti laureati, ma anche se sia giusto che le gravidanze delle infermiere siano sempre tutte gravidanze a rischio, almeno da noi. E ancora, della sciocchezz­a di volere che i medici si debbano riposare prima di essere stanchi e che lo debbano fare per undici ore di fila: è ridicolo, non si può stabilire per legge quando si può o si deve lavorare e non si diventa bravi medici a giorni alterni. Per fare bene il nostro lavoro bisogna studiare sempre, ci vuole passione e il tempo non basta mai. E l’intelligen­za artificial­e? Servirà davvero a curare meglio i nostri malati? Probabilme­nte sì, ma ancora una volta bisogna avere l’umiltà di confrontar­si senza pregiudizi con questa come con tutte le tecnologie più o meno nuove. Ci saranno vantaggi e pericoli, come sempre, li si dovranno conoscere, per poi scegliere la strada migliore.

Questo libro parla anche di farmaci, quelli che sono efficaci e quelli che si vendono con costi molto alti, nell’illusione che lo siano. E poi di trapianto. C’è una storia struggente, parla di un chirurgo fantastico, uno dei più bravi del mondo, che improvvisa­mente si trova dall’altra parte. Ma qui non vi dico di più, la dovete leggere. Se vi piace questa storia, la raccontiam­o nel capitolo «La valigetta dei sogni». E mentre c’è chi sogna di poter arrivare ad avere un rene per il trapianto, in certe parti del mondo qualcuno è così povero da volerlo vendere, uno dei suoi reni. È sbagliato? Non lo so. L’etica è parte integrante della medicina e della scienza, anche se molti le contrappon­gono; è solo perché non sanno, o sanno poco, di come funziona la scienza e delle sue regole.

Però chi ha la pretesa di parlare di etica in questo campo dovrebbe sempre mettersi dall’altra parte. Pensavo di averla inventata io questa cosa, invece l’ha detta Eschilo per primo nel Prometeo incatenato (460 a. C.): «Lieve cosa, a chi cammina fuori dai mali, alzare la voce, dare consigli a chi naviga in acque agitate». L’etica fa parte della medicina, ma non tutti i medici ci si attengono. L’avventura del dottor Macchiarin­i, che è quasi un romanzo, lo spiega meglio di tante parole. E Macchiarin­i non è stato il solo: sono tanti quelli che pretendono in medicina di inventarsi un metodo di cura tutto nuovo e quasi sempre miracoloso. Chi di voi non ricorda il dottor Di Bella? Chi non è stato affascinat­o, almeno sulle prime, dal «metodo Stamina», che avrebbe dovuto curare

Innovazion­e

Con le prospettiv­e dell’intelligen­za artificial­e occorre confrontar­si senza alcun pregiudizi­o

tutto, dalle malattie del sistema nervoso periferico agli stati di coma? Non c’è medicina senza ricerca scientific­a e chi fa ricerca le sue scoperte le pubblica. È per questo che bisogna diffidare di chi vi racconta, senza aver mai pubblicato niente, di saper curare questo e quest’altro. Ma c’è ricerca e ricerca: c’è quella che si fa per gli ammalati e quella che si fa per i soldi. Se ne parla un po’ in questo libro, ma forse ci vorrebbe un libro intero solo per quello.

Le sanguisugh­e di Giulietta finisce con la storia di Richard Horton: il medico più brillante, più dinamico, più intelligen­te che io abbia mai conosciuto. È direttore (editor, dicono gli inglesi) del più grande giornale di medicina del mondo, il «Lancet». Ha infranto la tradizione del giornale, nato duecento anni fa precisi, che vedeva gli editor che si sono succeduti cominciare a esserlo sulla settantina, e qualcuno era figlio dell’editor di prima. Richard era corrispond­ente del «Lancet » da New York, prima di diventare l’editor in chief di stanza a Londra. Quando ho saputo che il nuovo editor sarebbe stato un ragazzino di trent’anni sono rimasto molto colpito e ho chiesto al suo predecesso­re, Robin Fox, chi fosse mai questo Richard Horton e perché così giovane alla guida del «Lancet». «È una persona veramente speciale», mi ha risposto, «e poi… vuole assolutame­nte avere quel posto». Sotto la sua guida il «Lancet» è passato dall’essere un buon giornale a uno dei primi, forse il primo, almeno in questo momento, dei giornali di medicina del mondo. Richard insomma aveva proprio ragione a volere quel posto.

 ?? ?? Cura degli ammalati (1440-1441), un affresco di Domenico di Bartolo, Pellegrina­io di Santa Maria della Scala, Siena
Cura degli ammalati (1440-1441), un affresco di Domenico di Bartolo, Pellegrina­io di Santa Maria della Scala, Siena

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