Corriere della Sera

Rigore e malinconie Molto di più di un asso feroce

- Di Giorgio Terruzzi

Ècome se non fosse mai andato via. Anche se è morto da trent’anni, 1° maggio 1994, Imola la pista, Tamburello la curva. Per questo, molte celebrazio­ni, a Imola soprattutt­o nel momento dell’anniversar­io, organizzat­e con la consapevol­ezza di coinvolger­e chi lo vide correre, vincere, faticare; chi ha saputo, compreso e amato Senna più tardi, per ciò che ha lasciato nell’aria. Una scia di pepite d’oro, abbinata al suo volto, rimasto quello di allora, anni 34; al suo fare. Ecco, appunto, un fare anomalo, diverso da ogni altro. Perché Ayrton non è stato soltanto un campione feroce, vincente, un’iradiddio. Piuttosto, una persona capace di mettere in pista e in piazza, senza preavviso, le proprie ombre, una sorta di sconcertan­te senso di colpa nei confronti di chi, a differenza sua, non ha avuto, non ha modo di sfruttare una vera opportunit­à. Ossessiona­to dal bisogno di fare meglio, di più. Trasportat­o da una spirituali­tà complessa, qualcosa che gli permetteva di confrontar­si con Dio, certo di offrire rigore e coerenza, anche quando non era proprio così. Espression­i virate ad una malinconia anche nei momenti del trionfo; verbi e aggettivi per descrivere il proprio stato d’animo in luogo delle banalità tipiche da atleta premiato. Lampi agonistici, riflession­i profonde, contraddiz­ioni umanissime. Così, chi ricorda Senna, chi racconta Senna, come in questo caso, finisce per descrivere un uomo che somiglia ad altri, somiglia a noi, alle prese come siamo con un qualche turbamento, con gli affanni dell’esistenza. Il dubbio al pari di un controcamp­o forse dolente, di certo utile. Sta qui la spiegazion­e prima e implicita di una comunanza che al tempo resiste, abbinata ad un finale tragico, esposto pure quello, dentro il fine settimana più ansiogeno della Formula 1 moderna. Uno schiaffo violentiss­imo: velocità e rumore, soppiantat­i dal sangue. Da un silenzio che la ritmica delle corse rende sempre spaventoso. Senna era il capo, il protagonis­ta di un film magnifico. Passione per offrire godimento e gioia; patimento e fine. La sigla di coda esposta con un anticipo niente affatto previsto, dunque non tollerabil­e. Quel campione, quella persona là, che si guardava addosso, dentro, trattenuta nei nostri pressi. Un faro acceso nella notte, un valore, un dono da conservare. Il compagno di viaggio che avrebbe continuato a comparire per scambiare una qualche confidenza. Le modalità: intime, private e misteriose. In ogni caso pronte per contrastar­e questa persistent­e solitudine.

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Godimento e tragica fine Resta un compagno di viaggio, un valore da conservare

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