Rigore e malinconie Molto di più di un asso feroce
Ècome se non fosse mai andato via. Anche se è morto da trent’anni, 1° maggio 1994, Imola la pista, Tamburello la curva. Per questo, molte celebrazioni, a Imola soprattutto nel momento dell’anniversario, organizzate con la consapevolezza di coinvolgere chi lo vide correre, vincere, faticare; chi ha saputo, compreso e amato Senna più tardi, per ciò che ha lasciato nell’aria. Una scia di pepite d’oro, abbinata al suo volto, rimasto quello di allora, anni 34; al suo fare. Ecco, appunto, un fare anomalo, diverso da ogni altro. Perché Ayrton non è stato soltanto un campione feroce, vincente, un’iradiddio. Piuttosto, una persona capace di mettere in pista e in piazza, senza preavviso, le proprie ombre, una sorta di sconcertante senso di colpa nei confronti di chi, a differenza sua, non ha avuto, non ha modo di sfruttare una vera opportunità. Ossessionato dal bisogno di fare meglio, di più. Trasportato da una spiritualità complessa, qualcosa che gli permetteva di confrontarsi con Dio, certo di offrire rigore e coerenza, anche quando non era proprio così. Espressioni virate ad una malinconia anche nei momenti del trionfo; verbi e aggettivi per descrivere il proprio stato d’animo in luogo delle banalità tipiche da atleta premiato. Lampi agonistici, riflessioni profonde, contraddizioni umanissime. Così, chi ricorda Senna, chi racconta Senna, come in questo caso, finisce per descrivere un uomo che somiglia ad altri, somiglia a noi, alle prese come siamo con un qualche turbamento, con gli affanni dell’esistenza. Il dubbio al pari di un controcampo forse dolente, di certo utile. Sta qui la spiegazione prima e implicita di una comunanza che al tempo resiste, abbinata ad un finale tragico, esposto pure quello, dentro il fine settimana più ansiogeno della Formula 1 moderna. Uno schiaffo violentissimo: velocità e rumore, soppiantati dal sangue. Da un silenzio che la ritmica delle corse rende sempre spaventoso. Senna era il capo, il protagonista di un film magnifico. Passione per offrire godimento e gioia; patimento e fine. La sigla di coda esposta con un anticipo niente affatto previsto, dunque non tollerabile. Quel campione, quella persona là, che si guardava addosso, dentro, trattenuta nei nostri pressi. Un faro acceso nella notte, un valore, un dono da conservare. Il compagno di viaggio che avrebbe continuato a comparire per scambiare una qualche confidenza. Le modalità: intime, private e misteriose. In ogni caso pronte per contrastare questa persistente solitudine.
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Godimento e tragica fine Resta un compagno di viaggio, un valore da conservare