Peterson, laurea dal basket mondiale: «Chiamatemi dottore»
Entra nella Hall of Fame della Fiba: «Il gioco di adesso è meno divertente, c’è troppo tiro da tre»
Dan Peterson, complimenti... «Mi chiami dottore per cortesia»: Dan è maledettamente serio. Poi, per fortuna, esplode in una risata contagiosa. La Fiba, la federazione internazionale del basket, lo ha inserito nella Hall Fame: 88 anni da vincente, allenatore negli Usa, in Cile, Italia, tra Bologna e Milano, showman, comunicatore, scrittore, giornalista (per la Gazzetta dello Sport), una bella vita, piena, arricchita da una signora eccezionale, la sua Laura..., «ecco vede, sta tornando a casa, ora mi dirà “abbassa la voce, ti ho sentito parlare persino da fuori”...». Previsione azzeccata, in lontananza risuona l’affettuoso cazziatone, ma si vede, si capisce che la coppia Peterson
& Verga prende la vita per il verso giusto, con amore e ironia. «Mi fa molto piacere questo riconoscimento, ne ho già avute 4 di Hall of Fame, dal mio liceo a Evanston, Università Illinois, Olimpia Milano e ora Fiba. Ovvio che questa sia la più prestigiosa, è la Federazione mondiale a premiarmi, ma certo non diminuiscono amore, emozione e riconoscenza per gli attestati precedenti: sono qui nel mio studio, davanti a me, guardo targhe e diplomi e sono felice».
Premio Fiba, Oscar internazionale: come l’ha saputo?
«Un mese fa circa, mi avevano avvertito, con la consegna del silenzio assoluto. La Fiba ha più Paesi dell’onu, centinaia di delegati. Sono in buona compagnia: Primo, Rubini, Messina e Gamba anche loro nella Hall of Fame».
Lei da anni gira l’italia come conferenziere, ingaggiato da aziende, grandi gruppi, associazioni per parlare di squadra, team building e leadership.
«Lo faccio da quasi 40 anni. E parto sempre dalla sconfitta. Chiedo a chi mi ascolta se e come accetta la sconfitta».
Ma come, uno che ha vinto tutto, parte dalla sconfitta?
«Vado subito al cuore del problema: voglio capire come si gestisce il momento negativo».
D’accordo, e la vittoria?
«Bisogna credere nei tuoi uomini, avere fiducia, addirittura amarli. Credere nel tuo team, in te stesso, e i tuoi giocatori devono avere fiducia in te. Mai dimenticarsi che un allenatore si relaziona con degli uomini non con dei numeri. Attenzione, anche la società deve fidarsi del suo tecnico».
Iniziano i playoff di serie A: finale già scritta Bologna-milano?
«Sono le favorite, ma io ho imparato che i playoff vogliono dire sorpresa: e non c’è dubbio che tra Brescia, Venezia e Pistoia possa nascere la sorpresa».
Perché Milano ha fallito in Eurolega?
«Messina è il primo a saperlo...».
Ok, ma lo spieghi lei.
«Risposta semplice: Messina non ha il playmaker e il pivot giusti. Io avevo Mike D’antoni e Dino Meneghin. Quando ci sono playmaker e pivot, vuol dire avere Polo Nord e Polo Sud».
La Virtus Bologna ha iniziato bene, ha chiuso male?
«Banchi ha schiacciato l’acceleratore a tavoletta e ha fatto bene. Ma ha pagato la lunga stagione, la stanchezza».
Le piace il basket di adesso? «Meno, trovo troppo insistente la ricerca del tiro da tre».
Dall’alto della Hall of Fame ci dia il suo podio dei tecnici italiani.
«Sandro Gamba, Valerio Bianchini e Arnaldo Taurisano».
Quintetto Olimpia Milano. «Meneghin, D’antoni, Mcadoo, Carroll, Premier» Quintetto Virtus Bologna? «Driscoll, Mcmillen, Villalta, Bonamico, Bertolotti, Caglieris».
Ma sono 6?
«Va bene così».
A 88 anni si sogna ancora? «Ne ho appena realizzato uno: l’hall of Fame della Fiba».
Milano e Bologna eliminate in Eurolega: la prima non ha play e pivot, Messina lo sa bene. La seconda ha schiacciato sull’acceleratore ed è arrivata alla fine stanca