«Non firmerò contro il Jobs act» Franceschini apre il fronte nel Pd Schlein trova sponde sulla sanità Madia: il sostegno di Elly a Landini nuoce ai nostri candidati per la Ue
I dubbi di Orlando sul referendum. Bonaccini media e loda le misure per la salute L’ex ministra: opponiamoci al governo, non al Pd di 10 anni fa
ROMA Dario Franceschini — il primo big del Pd a schierarsi a favore di Schlein nelle primarie, facendo pesare la forza della sua corrente in quella contesa — non seguirà l’esempio della segretaria sul referendum sul Jobs act: «No, non firmerò», dice al Corriere. Andrea Orlando, anche lui schieratosi con Schlein alle primarie, non ha ancora deciso: «Sto riflettendo se firmare. Francamente penso che i parlamentari, avendo altri strumenti, possano anche esimersi dal sottoscrivere questo referendum».
Matteo Orfini, che aveva parteggiato per Bonaccini, ma che negli ultimi tempi si è avvicinato alla segretaria, sceglie l’arma dell’ironia per criticare il fatto che la leader non abbia convocato prima una riunione ad hoc, perciò se gli si chiede se firmerà risponde così: «Io sono all’antica, immagino che ne discuteremo in Direzione dopo le Europee. Sa, sono obsoleto...». Una riunione forse ci sarà, ma intanto al Nazareno stanno già pensando di raccogliere le firme alle feste dell’unità.
La segretaria infatti tiene il punto. Ieri è tornata a spiegare che la sua firma «non è una
ROMA Difende la «filosofia del Jobs act», che «non era una riforma del solo Renzi, ma del partito e che nel partito fu lungamente discussa». E riguardo alla scelta di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil per cassarla, è lapidaria: «Questo film avrei preferito non vederlo mai».
Marianna Madia, lei era responsabile Lavoro nella segreteria Renzi e ministra della pubblica amministrazione nel suo governo. Si sente sconfessata nel merito o il problema è politico?
«Direi che non condivido la mossa della mia segretaria da nessun punto di vista».
Non crede che quella riforma abbia favorito la precarizzazione del lavoro?
«No. Il Jobs act aboliva i contratti a progetto, le false partite Iva, le dimissioni in bianco. Finanziava ammortizzatori sociali per lavoratori che non ne avevano. Arrivava in una fase di frammentazione del mondo del lavoro e ha avuto il merito di avviare l’unificazione dei diritti».
Dieci anni dopo nessuna autocritica?
«Le riforme sono processi. Andrebbero attuate e monitorate. Non nego che in parte l’attuazione sia mancata e che i finanziamenti, come quello per il reddito di inclusione, siano stati attivati tardi e forse in misura insufficiente. Ma ogni governo si scontra con la limitatezza delle risorse».
L’attuale segretaria, però, non ha mai considerato il
Jobs act uno strumento valido: lasciò il Pd anche per via di quella vostra riforma. Non è una espressione di coerenza che firmi per cassarla?
«Elly Schlein di dieci anni fa non è la stessa di oggi. E oggi è la segretaria del mio partito. Un partito ancora grande e plurale, spero. Che firmi il referendum di Landini trovo sia una mancanza di generosità e di visione strategica: non aiuta i candidati che stanno andando a raccogliere consenso per le Europee per il Pd, e non ha niente a che fare con la scadenza elettorale imminente. Dovremmo parlare di integrazione europea, di difesa comune, di ambiente e sicurezza sul lavoro, drammaticamente sorpresa». La leader non arretra e Bonaccini le dà una mano, suscitando i mal di pancia di quanti nella sua corrente lo vorrebbero un po’ più combattivo. Il presidente del Pd, intervistato a Tagadà, tesse gli elogi della proposta di legge sulla sanità di Schlein. Una proposta che ieri la leader ha rilanciato con forza: «Se Meloni vuole eliminare il problema delle liste d’attesa voti con noi questa legge». E Bonaccini, poco dopo: «È una proposta sacrosanta, per il nostro Paese sarebbe una rivoluzione». Poi il presidente dem difende la segretaria dagli attacchi di Renzi: «Noi non ci schiacciamo su proposte che vengono da altri, liberamente chi vuole può firmare». Renzi gli replica subito: «Stefanino deve tenersi buona Schlein per le Europee».
Bonaccini, a proposito del Jobs act, è convinto che «non si debba buttare il bambino con l’acqua sporca» e pone l’accento sulla priorità di altre battaglie del Pd, come quella sul salario minimo. Però non intende polemizzare con la segretaria in questa fase. «E forse mai», commenta un esponente della sua corrente. Del resto, sono in diversi nella minoranza a non essere d’accordo con la segretaria. Dice Pina Picierno: «Io non firmerò perché l’effetto del referendum sarebbe tornare alla Fornero e sul reintegro è già intervenuta la Consulta. Il lavoro è a rischio, ma non certo per la disciplina sul licenziamento». Anche Giorgio Gori non firmerà: «Sembra una cosa coerente con la storia politica di Schlein. Siccome firmare sarebbe totalmente incoerente con la mia storia politica, io sicuramente non firmerò. Penso che il Jobs act non abbia in alcun modo aumentato la precarietà che anzi è diminuita negli ultimi dieci anni». Un no secco alla firma da parte di Lia Quartapelle. Dario Nardella, invece, essendosi avvicinato a Schlein (e allontanatosi da Bonaccini) lascia uno spiraglio aperto: «Firmare? Ci sto pensando». Di tutt’altro tenore la dichiarazione di Alessandro Alfieri: «La Cgil poteva scegliere un momento diverso per presentare i quesiti referendari, anche perché molti aspetti del Jobs act sono stati corretti negli anni, altri sono rimasti inapplicati e altri ancora si sono dimostrati innovativi». urgente. Dovremmo portare il dibattito su temi che ci vedono radicalmente opposti al governo Meloni, non, invece, opporci a un governo dello stesso Pd di dieci anni fa».
Schlein, riconoscendo sensibilità diverse sul tema, ha però chiarito che firma a titolo personale.
«Il Pd non è un partito personale come altri, per fortuna. Ma non può nemmeno essere un partito a titolo personale. Si può invocare una sorta di libertà di coscienza sulle politiche del lavoro, cuore di un partito progressista?».
Sembra d’accordo con Renzi quando dice a voi riformisti
Le riforme sono processi. Andrebbero attuate e monitorate. Non nego che in parte l’attuazione sia mancata
Il rapporto con gli alleati La firma sul quesito la settimana dopo Conte e Fratoianni?dovremmo guidare non seguire
«Che ci fate ancora lì?»: non si sente più a casa nel Pd?
«E non potrebbe essere, al contrario, che si debba cambiare il Pd? Viva le opinioni diverse, il partito tenda sul modello del Labour inglese o del Democratic party americano. Ma una segretaria che dice che firma un referendum contro una riforma del suo partito a titolo personale, e lo fa una settimana dopo Conte e Fratoianni, cosa sembra?».
A lei cosa sembra?
«A me sembra che l’ambizione del Pd, primo partito dell’opposizione, con una naturale vocazione di governo, non può essere quella di seguire ma di guidare».