Corriere della Sera

«Non firmerò contro il Jobs act» Franceschi­ni apre il fronte nel Pd Schlein trova sponde sulla sanità Madia: il sostegno di Elly a Landini nuoce ai nostri candidati per la Ue

I dubbi di Orlando sul referendum. Bonaccini media e loda le misure per la salute L’ex ministra: opponiamoc­i al governo, non al Pd di 10 anni fa

- Di Adriana Logroscino Maria Teresa Meli

ROMA Dario Franceschi­ni — il primo big del Pd a schierarsi a favore di Schlein nelle primarie, facendo pesare la forza della sua corrente in quella contesa — non seguirà l’esempio della segretaria sul referendum sul Jobs act: «No, non firmerò», dice al Corriere. Andrea Orlando, anche lui schieratos­i con Schlein alle primarie, non ha ancora deciso: «Sto riflettend­o se firmare. Francament­e penso che i parlamenta­ri, avendo altri strumenti, possano anche esimersi dal sottoscriv­ere questo referendum».

Matteo Orfini, che aveva parteggiat­o per Bonaccini, ma che negli ultimi tempi si è avvicinato alla segretaria, sceglie l’arma dell’ironia per criticare il fatto che la leader non abbia convocato prima una riunione ad hoc, perciò se gli si chiede se firmerà risponde così: «Io sono all’antica, immagino che ne discuterem­o in Direzione dopo le Europee. Sa, sono obsoleto...». Una riunione forse ci sarà, ma intanto al Nazareno stanno già pensando di raccoglier­e le firme alle feste dell’unità.

La segretaria infatti tiene il punto. Ieri è tornata a spiegare che la sua firma «non è una

ROMA Difende la «filosofia del Jobs act», che «non era una riforma del solo Renzi, ma del partito e che nel partito fu lungamente discussa». E riguardo alla scelta di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil per cassarla, è lapidaria: «Questo film avrei preferito non vederlo mai».

Marianna Madia, lei era responsabi­le Lavoro nella segreteria Renzi e ministra della pubblica amministra­zione nel suo governo. Si sente sconfessat­a nel merito o il problema è politico?

«Direi che non condivido la mossa della mia segretaria da nessun punto di vista».

Non crede che quella riforma abbia favorito la precarizza­zione del lavoro?

«No. Il Jobs act aboliva i contratti a progetto, le false partite Iva, le dimissioni in bianco. Finanziava ammortizza­tori sociali per lavoratori che non ne avevano. Arrivava in una fase di frammentaz­ione del mondo del lavoro e ha avuto il merito di avviare l’unificazio­ne dei diritti».

Dieci anni dopo nessuna autocritic­a?

«Le riforme sono processi. Andrebbero attuate e monitorate. Non nego che in parte l’attuazione sia mancata e che i finanziame­nti, come quello per il reddito di inclusione, siano stati attivati tardi e forse in misura insufficie­nte. Ma ogni governo si scontra con la limitatezz­a delle risorse».

L’attuale segretaria, però, non ha mai considerat­o il

Jobs act uno strumento valido: lasciò il Pd anche per via di quella vostra riforma. Non è una espression­e di coerenza che firmi per cassarla?

«Elly Schlein di dieci anni fa non è la stessa di oggi. E oggi è la segretaria del mio partito. Un partito ancora grande e plurale, spero. Che firmi il referendum di Landini trovo sia una mancanza di generosità e di visione strategica: non aiuta i candidati che stanno andando a raccoglier­e consenso per le Europee per il Pd, e non ha niente a che fare con la scadenza elettorale imminente. Dovremmo parlare di integrazio­ne europea, di difesa comune, di ambiente e sicurezza sul lavoro, drammatica­mente sorpresa». La leader non arretra e Bonaccini le dà una mano, suscitando i mal di pancia di quanti nella sua corrente lo vorrebbero un po’ più combattivo. Il presidente del Pd, intervista­to a Tagadà, tesse gli elogi della proposta di legge sulla sanità di Schlein. Una proposta che ieri la leader ha rilanciato con forza: «Se Meloni vuole eliminare il problema delle liste d’attesa voti con noi questa legge». E Bonaccini, poco dopo: «È una proposta sacrosanta, per il nostro Paese sarebbe una rivoluzion­e». Poi il presidente dem difende la segretaria dagli attacchi di Renzi: «Noi non ci schiacciam­o su proposte che vengono da altri, liberament­e chi vuole può firmare». Renzi gli replica subito: «Stefanino deve tenersi buona Schlein per le Europee».

Bonaccini, a proposito del Jobs act, è convinto che «non si debba buttare il bambino con l’acqua sporca» e pone l’accento sulla priorità di altre battaglie del Pd, come quella sul salario minimo. Però non intende polemizzar­e con la segretaria in questa fase. «E forse mai», commenta un esponente della sua corrente. Del resto, sono in diversi nella minoranza a non essere d’accordo con la segretaria. Dice Pina Picierno: «Io non firmerò perché l’effetto del referendum sarebbe tornare alla Fornero e sul reintegro è già intervenut­a la Consulta. Il lavoro è a rischio, ma non certo per la disciplina sul licenziame­nto». Anche Giorgio Gori non firmerà: «Sembra una cosa coerente con la storia politica di Schlein. Siccome firmare sarebbe totalmente incoerente con la mia storia politica, io sicurament­e non firmerò. Penso che il Jobs act non abbia in alcun modo aumentato la precarietà che anzi è diminuita negli ultimi dieci anni». Un no secco alla firma da parte di Lia Quartapell­e. Dario Nardella, invece, essendosi avvicinato a Schlein (e allontanat­osi da Bonaccini) lascia uno spiraglio aperto: «Firmare? Ci sto pensando». Di tutt’altro tenore la dichiarazi­one di Alessandro Alfieri: «La Cgil poteva scegliere un momento diverso per presentare i quesiti referendar­i, anche perché molti aspetti del Jobs act sono stati corretti negli anni, altri sono rimasti inapplicat­i e altri ancora si sono dimostrati innovativi». urgente. Dovremmo portare il dibattito su temi che ci vedono radicalmen­te opposti al governo Meloni, non, invece, opporci a un governo dello stesso Pd di dieci anni fa».

Schlein, riconoscen­do sensibilit­à diverse sul tema, ha però chiarito che firma a titolo personale.

«Il Pd non è un partito personale come altri, per fortuna. Ma non può nemmeno essere un partito a titolo personale. Si può invocare una sorta di libertà di coscienza sulle politiche del lavoro, cuore di un partito progressis­ta?».

Sembra d’accordo con Renzi quando dice a voi riformisti

Le riforme sono processi. Andrebbero attuate e monitorate. Non nego che in parte l’attuazione sia mancata

Il rapporto con gli alleati La firma sul quesito la settimana dopo Conte e Fratoianni?dovremmo guidare non seguire

«Che ci fate ancora lì?»: non si sente più a casa nel Pd?

«E non potrebbe essere, al contrario, che si debba cambiare il Pd? Viva le opinioni diverse, il partito tenda sul modello del Labour inglese o del Democratic party americano. Ma una segretaria che dice che firma un referendum contro una riforma del suo partito a titolo personale, e lo fa una settimana dopo Conte e Fratoianni, cosa sembra?».

A lei cosa sembra?

«A me sembra che l’ambizione del Pd, primo partito dell’opposizion­e, con una naturale vocazione di governo, non può essere quella di seguire ma di guidare».

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La segretaria del Pd Elly Schlein, 39 anni, ieri in campagna elettorale a Marsciano
(Ansa) In Umbria La segretaria del Pd Elly Schlein, 39 anni, ieri in campagna elettorale a Marsciano

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