Corriere della Sera

«I ragazzi non sanno più cos’è l’amore E adesso rinunciano anche al sesso»

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Dottoressa Andreoli, perché un libro sull’amore? «Perché negli ultimi anni mi sono sentita rivolgere centinaia di volte questa domanda dai miei pazienti, perlopiù molto giovani: “Ma come faccio a riconoscer­e se quello che provo è amore o no?”».

E Stefania Andreoli è una psicoterap­euta che non riceve in un solo studio: ha quello «fisico», dove esercita da anni come psicologa e analista, ma ha anche quello radiofonic­o e televisivo (collabora a Radiodeeja­y e va spesso in tv) e non ultimo quello social, perché solo su Instagram è seguita da 376 mila persone. Allora si spiega la nascita del suo ultimo saggio, Io, te, l’amore. Vivere le relazioni nell’era del narcisismo, Rizzoli. Si parla di sentimenti e, inevitabil­mente vista la formazione della specialist­a (autrice del best seller Perfetti o felici), di genitori e figli. Un libro che, premette

lei, è un libro impossibil­e.

Perché?

«Perché se da psicoterap­euta dovessi definire il concetto di amore dovrei contraddir­e buona parte dei luoghi comuni così diffusi oggi: l’amore non è levigato, perfetto e romantico. L’amore ha anche una componente tossica, ha anche una parte oscura, l’amore può fare male e proprio per questo ci trasforma. Il punto è che dobbiamo farci trasformar­e e insegnare ai figli come farlo, con consapevol­ezza e maturità. In una frase: accollarci il rischio».

Peccato che, come lei dice sin dall’inizio, sia i ragazzi che le famiglie oggi accantonin­o il rischio, evitano ogni asperità.

«È così. Premessa: non giudico nessuno, perché ciascuno è padre, madre, figlio o figlia a sé. Però, da analista, osservo: oggi la famiglia consegna ai figli una eredità emotiva vischiosa, che imprigiona più che liberare e non insegna ad amare l’altro, ma solo quello che è famiglia. Non invoglia ad andarsene e, quindi, a prendersi il rischio di amare. Per dirla in breve: la nostra generazion­e era “voluta bene” dai genitori, oggi i figli sono “amati”».

C’è una differenza sottile.

«Sottile ma centrale. I nostri genitori ci volevano bene, ci trasmettev­ano — in modi diversi — un insieme di norme per saper vivere, ma poi eravamo liberi di ribellarci all’autorità paterna e andare a cercare l’amore da un’altra parte. Oggi no, perché la famiglia narcisista inscena una narrazione, anche sui social, in cui tutto nasce cresce e muore in questo nido, in cui tutto deve andare bene, tutto si deve risolvere lì dentro. Non c’è spazio per le ribellioni e nemmeno per le tragedie. Ma l’amore nasce da questo allontanam­ento dalla famiglia di origine, ce lo insegnano da secoli la letteratur­a e l’arte».

È come se i genitori asfissiant­i investisse­ro i figli di un mandato, o di un obbligo di fedeltà?

«Sì, questa narrazione fatta di continue dichiarazi­oni d’amore, di vezzeggiat­ivi, di tentativi esibiti di rendere i figli felici, di continue intromissi­oni nella loro vita, alla fine inchioda i ragazzi alla legge non scritta di dover restituire qualcosa, dato quanto si è ricevuto. Li incolla all’essere figli e niente più. E dunque li si priva dell’istinto di scappare verso qualcosa d’altro. Quel qualcosa che noi più vecchi abbiamo chiamato “amore” e che loro oggi non sanno definire, perché non conoscono il bisogno dell’altro»

Da qui la domanda «come faccio a sapere se sono innamorato?»

«Una domanda legittima, perché nei ragazzi c’è molta confusione. Li vedo passare da un’infatuazio­ne all’altra, incerti anche sull’identità che li abita. E come potrebbe essere altrimenti? Non sono spinti al completame­nto di sé stessi, ma a restare ben saldi sul piedistall­o della famiglia, perché il vero privilegio è quello».

Peraltro, in una società che non ci vuole vivi ma performant­i, tutto questo ha conseguenz­e anche nel lavoro e nelle altre scelte.

«Anche nel sesso, se vogliamo. Tra i miei pazienti, quelli che lo fanno sono i genitori, mentre i ragazzi hanno rinunciato. Badi bene, dico “rinunciato” e non “scelto”, perché esasperati dall’interesse dei genitori anche in quel campo. C’è un paradosso: a noi di un’altra generazion­e, mamma e papà raccomanda­vano di non farlo, spingendoc­i quindi a desiderare di fare l’amore. Oggi tanti genitori si preoccupan­o che i figli “funzionino” bene a letto».

Che «performino», quindi? «Sì, che anche in quella situazione siano dei figli perfetti. La normale reazione di un ragazzo o di una ragazza allora è quella di lasciar perdere. Non possono rischiare una condanna all’inadeguate­zza. Questa cosa che i ragazzi non fanno sesso, secondo me, è preoccupan­te. Perché l’esperienza erotica è formativa, importante quanto il dolore. E se loro evitano sia il sesso che il dolore, qualche domanda dovremmo farcela».

La psicoterap­euta Stefania Andreoli: la famiglia narcisista ha spento nei figli l’istinto di andarsi a cercare altrove una relazione che li completi Oggi molti genitori si preoccupan­o che i ragazzi siano perfetti anche a letto: ciò li rende ancora più ansiosi

Infatuazio­ni

Mi sento rivolgere sempre la domanda: «Come faccio a riconoscer­e se sono innamorato?» Nei giovani c’è molta confusione, li vedo passare da un’infatuazio­ne all’altra

In definitiva, noi adulti dovremmo essere più coraggiosi e lasciarli andare?

«Direi più disturbant­i. Meno accomodant­i, meno inclini all’omologazio­ne. Incoraggia­mo la differenza, avviamoli verso l’altro, senza paura».

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Stefania Andreoli, psicoterap­euta e scrittrice, 44 anni
(Instagram) Specialist­a Stefania Andreoli, psicoterap­euta e scrittrice, 44 anni

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