Corriere della Sera

«Le regole ci sono, le aziende non formano i dipendenti»

Pennesi, capo degli ispettori del lavoro: ci vorrebbero più controlli, ma manca il personale

- Enrico Marro

ROMA Paolo Pennesi, 66 anni, si occupa di sicurezza sul lavoro da una ventina di anni, è stato a capo dell’ispettorat­o nazionale del lavoro tra il 2015 e il 2018 e lo è di nuovo dalla fine del 2022.

Cosa ha pensato quando ha saputo di Casteldacc­ia?

«Che si trattava della stessa dinamica della tragedia di Mineo nel 2008, quando a morire, per le esalazioni velenose in una vasca di decantazio­ne, furono in 6, uno dopo l’altro».

Nulla è cambiato.

«Sì, perché manca l’osservanza delle procedure. Non solo qui i lavoratori sono stati ritrovati senza i dispositiv­i di protezione individual­e, che avrebbero salvato loro la vita, ma non sono state osservate neppure le regole più elementari previste quando si lavora nei luoghi confinati: se un lavoratore non riemerge, non ci si cala senza protezioni, ma si chiamano i soccorsi. Manca, anche questa volta, un minimo di sistema organizzat­ivo aziendale».

Di chi la colpa?

«Del datore di lavoro, che paradossal­mente, in questo caso, è anche la prima vittima. L’ennesima riprova del fatto che le regole, che pure ci sono, non sono state metabolizz­ate dalle aziende e dal personale. Eppure, fin dal Testo unico del 2008, che è una buona legge, c’è l’obbligo della formazione e informazio­ne dei lavoratori. Ma spesso, quando facciamo le verifiche, vediamo che esso non è stato rispettato o lo è stato in modo formale e non sostanzial­e, senza cioè che poi la formazione venga tradotta in comportame­nti conseguent­i».

Quanti controlli fate?

«Circa 20 mila nel 2023, anno nel quale abbiamo riscontrat­o 36.680 violazioni, il 44% in più del 2022».

Quali sono le sanzioni?

«Penali, compreso il carcere nei casi più gravi, ma nella maggioranz­a dei casi l’azienda dove è stata riscontrat­a la violazione può mettersi in regola e chiudere la partita pagando una somma pari al massimo a un quarto dell’ammenda prevista».

È un sistema efficace?

«Se ci fossero più ispezioni, sì, perché è importante arrivare prima che l’incidente accada. Quindi, se l’ispettore constata che c’è una violazione e l’azienda viene spinta a mettersi in regola, si ottiene un migliorame­nto delle condizioni di sicurezza. Diversamen­te, si può intervenir­e solo dopo, quando si contano i morti. Consideri che, in media, le nostre ispezioni accertano violazioni in circa l’85% dei casi. Questo dà la dimensione di quanto diffusa sia la violazione delle regole».

Solo 20 mila controlli per 4,5 milioni di imprese.

«Le imprese con dipendenti sono 1,7 milioni. Comunque è evidente che ci vorrebbero più ispezioni e ispettori».

Quanti di più?

«Bisogna distinguer­e tra ispettori amministra­tivi e ispettori che fanno i controlli tecnici sui luoghi di lavoro. Di questi ultimi ne abbiamo 853 con le assunzioni fatte a luglio 2023 dopo un concorso deciso dal governo Draghi che prevedeva 1.174 posti, di cui però ne abbiamo coperti solo 600, che si sommano ai circa 250 tecnici che già avevamo».

Vuol dire che sono rimasti liberi più di 500 posti?

«Sì. Nonostante il concorso fosse aperto a tutte le lauree, siamo poco appetibili: un ispettore appena assunto prende 1.600 euro al mese, mentre un funzionari­o di Inps, Inail o dell’agenzia delle entrate circa il 30% in più. Ora il governo, con l’ultimo decreto, ci ha autorizzat­o un altro concorso per 250 posti più i 500 non coperti nel 2023, per un totale di circa 750, che porterebbe l’organico a circa 1.600 ispettori tecnici: un bel passo avanti. Sempre che i posti vengano coperti. In ogni caso, i controlli sono importanti, ma il fronte più rilevante e disatteso, ripeto, è quello della formazione».

"Il concorso del 2023 A luglio al concorso per 1.174 posti, ne abbiamo coperti soltanto 600 Siamo poco appetibili

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy