La matita che dice il non detto fa vedere anche l’invisibile
Esposte da Bonvini 1909 fino al 20 luglio le opere dell’illustratore Beppe Giacobbe
Il titolo della nuova mostra di Beppe Giacobbe, tra i più importanti illustratori italiani a livello internazionale, Distrazioni, indica con grande chiarezza e lucidità il significato e, non solo, anche il ruolo decisivo che oggi gioca l’immagine «pittorica» all’interno della comunicazione visiva: perché ogni manufatto editoriale, dal libro al manifesto, da un quotidiano come il «Corriere della Sera» a un supplemento come «la Lettura», non può fare a meno di utilizzare l’illustrazione. È il linguaggio più antico della storia dell’arte, utile proprio per resistere al consumo sempre più diffuso che il sistema delle immagini ci impone ogni giorno: mette al centro, appunto, una sorta di «distrazione», cioè uno sguardo laterale, incompiuto perché spetta a noi lettori comuni completare il processo di comprensione.
Beppe Giacobbe appartiene, per formazione e per nascita (1953) a una tipologia rara nel panorama della cultura iconografica italiana, una figura più presente invece nella tradizione anglosassone e americana; di formazione classica, grande lettore, è allievo dell’accademia delle Belle Arti di Brera a Milano ma il suo sguardo è già al di là dell’atlantico, soprattutto alla School of Visual Arts di New York del grande Milton Glaser che, guarda caso, era già approdato molti anni prima in Italia, a Bologna, frequentando Giorgio Morandi e soprattutto studiando da vicino Piero della Francesca. Insomma, da un lato la sintesi fulminante di Glaser (basti pensare al suo logo I Love New York, 1976) e dall’altro la cultura progettuale del Push Pin Studios, un consorzio di grafici e illustratori — tra i quali lo
stesso Glaser, insieme con Seymour Chwast, John Alcorn, Paul Davis — fanno scoprire a Giacobbe che è possibile essere contemporanei senza perdere il filo della storia, in particolare la memoria e le tecniche.
Giacobbe comprende, nella pratica quotidiana del lavoro — sempre sospeso tra Italia e le grandi testate americane come il «New Yorker» o il «New York Times» con le quali collabora — che l’illustrazione è una disciplina progettuale e non solo un’abilità tecnica, soprattutto ora con l’arrivo della nuove tecnologie alle quali, comunque, guarda con interesse, restando però «antico» nel modo di declinare il testo con le immagini. Lavora e progetta nella scia di ciò che, alcuni decenni prima, aveva compreso con il suo linguaggio «didascalico» René Magritte: «In realtà non sono le cose che stanno al posto delle parole, ma le parole che stanno al posto delle cose».
L’illustrazione di Giacobbe colpisce nel cuore, nel senso che è più concettuale dell’immagine fotografica, più astratta. Ma in questo caso l’astratto ha un significato reale, in quanto capace di cogliere l’«essenza del concreto» e quindi di parlare a un numero più ampio di lettori. L’immagine di Giacobbe rende visibile l’invisibile, il non detto, anche se, essendo il suo un segno iconico, è in qualche modo simile all’oggetto disegnato; basti pensare ai disegni dedicati a Sigmund Freud o al disegno sulla marcia su Roma, con la statua di Mussolini ondeggiante su una molla, e, ancora, al tema del «diritto» risolto con un libro rovesciato.
Giacobbe con le sue opere ha bisogno di un contesto, di un riferimento: il titolo di un articolo, di un romanzo, il tema di una campagna, come nel caso dell’immagine che accompagna la comunicazione della mostra Distrazioni (inaugurata ieri a Milano presso Bonvini 1909, in via Tagliamento 1; chiude il 20 luglio), immagine dove lo spazio fisico disegnato allude a un orizzonte onirico, nel quale, comunque, il viso, gli occhiali, una mano, due scarpe nere sono più che sufficienti per dichiarare la sua poetica, senza però condizionare il potere ermeneutico del lettore.
«La Lettura» è un supplemento settimanale culturale dove le sue immagini sono importanti quanto le parole che approfondiscono un tema: anzi, sono in grado di andare oltre il linguaggio verbale che è sempre, per sua natura, più prescrittivo, più imperativo di qualsiasi altro alfabeto compositivo, e sa indicare un altro tipo di lettura. Insomma, come scriveva Umberto Eco nella sua opera più importante, La struttura assente, la realtà è interpretabile all’infinito, contro ogni abuso e degenerazione ontologica.
Beppe Giacobbe è uno di noi, ci aiuta a comprendere il mondo, senza imporre ideologie e scorciatoie. La storia è lui e noi con lui.
Le sue tavole escono sul «Corriere della Sera», su «la Lettura» e su testate americane