Famiglia, valori, ricordi polverizzati su un sofà
Se leggo Cechov e non lo vedo messo in scena o ne vedo una edizione malvagia, Cechov resta quello che è. Così non è per Jon Fosse. Leggo e capisco fino a un certo punto. Ho bisogno di vederlo messo in scena. Vidi Inverno nel 2003 e mi piacquero gli attori, Valter Malosti e Michela Cescon: più gli attori del testo, più la regia di Malosti che la commedia.
Per capire lo scrittore norvegese dovettero passare molti anni e i (fino ad allora) quattro pur begli spettacoli che Binasco aveva realizzato dalle sue commedie. Ma prima del quinto, Sogno d’autunno del 2017, avevo finalmente capito: quando nel 2011 vidi Fosse messo in scena da un grande regista, Patrice Chéreau. Vidi a Milano Rêve d’automne e ad Avignone Je suis le vent. Vi sono drammaturghi la cui potenza si misura meglio vedendo e ascoltando le loro parole portate a compimento da un regista che ne sia all’altezza. Ecco, quell’altezza Valerio Binasco, da tempo il nostro miglior regista, l’ha raggiunta al suo sesto Fosse, La ragazza sul divano, una commedia del 2002.
Oggi, con La ragazza sul divano di Binasco siamo di fronte al grande teatro. Ma chi è quella ragazza? E che cosa rappresenta il divano? Ciò che distingue uno spettacolo dall’altro: se si sta alla lettera si possono raggiungere buoni risultati — che chiameremo di tipo artigianale; se si scava la lettera (del testo) se ne possono mostrare nello stesso tempo più significati, e se ne può scegliere uno lasciandone sottinteso un secondo, o un terzo. Quella Ragazza è pura inerzia o qualcosa d’altro? Quel divano è la prova del suo fallimento?
Se è pura inerzia, in lei vedremo tutti gli Ibsen e tutti gli Strindberg che conosciamo. Altrimenti dovremo ammettere (come è) d’essere in un altro mondo: di quello precedente conserva le radici, ma esso è arrivato dove è arrivato — fino al tardo Novecento, e oltre lo stesso Novecento.
Tutto si è dissolto oltre ogni sguardo; degli antichi valori non si discute più; la famiglia è un incidente; il tempo e lo spazio si sono vanificati; neppure l’arte (ecco il fallimento) riesce a trarre un’immagine coerente o che somigli a qualcosa che ci sembra di conoscere solo perché l’abbiamo vista per strada. Fosse (quella Ragazza, la ragazza che sta sul divano per l’intera sua vita) ha polverizzato il tempo nell’eternità. Come la Sorella — e come il Padre e la Madre — ha abbandonato qualcuno o qualcosa (di sostanzialmente invisibile) ed ha abbandonato se stessa.
Occorre aggiungere: per arrivare a tanto occorrono al regista quei due piani (divano e letto) in uno stesso spazio e attori d’eccezione, che restino con noi, nella nostra memoria: e tutti e sette, i conosciuti e i meno conosciuti, in questa produzione del Carignano di Torino, lo sono: Pamela Villoresi (la sua energia) e Valerio Binasco e Michele Di Mauro (il suo distacco); ma anche la commovente Giordana Faggiano, la tranquilla, indiscutibile Isabella Ferrari, la bellissima Giulia Chiaramonte, lo spettrale Fabrizio Contri.