Il pressing dell’opposizione: «Lasci» L’affondo di Crosetto sui magistrati
Il ministro: «Mi spiace, ma lo avevo predetto. Con questa logica si arrestano anche le toghe»
ROMA A Palazzo Madama a metà pomeriggio un meloniano al governo rivela (sottovoce) i pensieri e i dubbi che corrono tra Palazzo Chigi e via della Scrofa: «Siamo garantisti, ma attenti sempre e comunque». Giovanni Toti deve dimettersi? «Vogliamo capire, lui ha detto che chiarirà l’equivoco». Avete già pronto il nome del candidato alla successione? «La riflessione sul dopo— Toti non è all’ordine del giorper no. Magari tra 48 ore è di nuovo al lavoro in Regione...». Pensieri, paure e dubbi che racchiudono la cautela riguardo agli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria, la rabbia per un fulmine caduto sulla maggioranza in piena campagna elettorale per le Europee e i sospetti per il tempismo con cui la magistratura si è mossa.
Alle otto di sera, il quadro cambia di colpo. Dopo aver letto le carte Guido Crosetto blinda Toti e si scaglia contro i giudici, rivelando quanto Meloni e i suoi siano preoccupati per gli effetti della bufera ligure sulle urne. Nel lunghissimo post su X il ministro della Difesa smonta la scelta degli arresti domiciliari: «Con la logica usata per Toti (a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato) possono arrestare la quasi totalità dei sindaci, dei presidenti di Regione, dei dirigenti pubblici. Suppongo potrebbero arrestare anche la maggior parte dei magistrati». Il ministro insinua che le toghe abbiano voluto «aumentare l’audience» dell’inchiesta ligure e, consapevole che sarà attaccato e criticato, rievoca la clamorosa intervista di mesi fa al Corriere: «Lo avevo predetto con largo anticipo».
In consiglio regionale, come al Parlamento nazionale, si allarga il fronte dei partiti di opposizione che si sgolano per chiedere che il «governatore» molli la poltrona. Carlo Calenda condanna Toti per la sua «condotta eticamente inaccettabile» e Maria Elena Boschi invita il presidente della Liguria a valutare le dimissioni. Il Pd alza i toni e accusa la destra di governo di essere garantista solo con i suoi. «Siamo stati messi alla gogna dalla destra per le vicende pugliesi», ricorda Dario Nardella. «La destra, che dopo Bari organizzò una riunione con Piantedosi, faccia lo stesso con i propri amici», rigira il coltello Francesco Boccia. E Giuseppe Conte, leader del M5S: «Quando emergono accuse circostanziate si lascia il posto».
Critiche che non lasciano indifferente Giorgia Meloni, quanto i fedelissimi come Lucio Malan insistano nel ricordare che il «processo non è la condanna». La blindatura, rispetto ai giorni scorsi, sembra rafforzarsi. Il ministro Francesco Lollobrigida chiama in soccorso la Costituzione, dove è scritto che «sei innocente fino a prova contraria» e dà voce a quel che tutti nel suo partito pensano: «La fotografia di questa situazione è che dopo quattro anni di indagine, a venti giorni dal voto, vengono in essere una serie di arresti che evidentemente erano più che necessari in questo momento, a detta dei magistrati». Giustizia a orologeria insomma, che per il sottosegretario leghista Alessandro Morelli «è diventata una moda».
Calma e gesso, allora. Da garantista di storico rito berlusconiano il vicepremier Antonio Tajani fa scudo al governatore: «È molto presto, Toti può continuare a lavorare, poi vedrà». Maurizio Lupi (Noi Moderati), chiede alla politica e alla magistratura «serietà e responsabilità» in vista delle «fondamentali» Europee e rinnova l’auspicio che «gli arresti, che qualche dubbio hanno sollevato anche nel ministro Nordio, potranno essere revocati». Nessun pezzo grosso dell’alleanza meloniana si azzarda (per ora) a parlare del «dopo». Ma negli spogliatoi della politica c’è già chi scalda i muscoli sperando nel voto anticipato. L’ex ministro dem Andrea Orlando denuncia «l’involuzione oligarchica e predatoria» della Liguria e il «totismo come sistema di potere, frutto di un processo maturato all’interno del centrodestra». La Lega, che continua a difendere Toti, avrebbe già il suo candidato in Edoardo Rixi. E per FDI si parla di Simona Ferro.
Il bilancino Fratelli d’italia prende tempo, nessuno nel centrodestra chiede le dimissioni