VELOCITÀ DELL’AI, NON FERMARLA MA REGOLARLA
Se c’è una cosa in cui continua a sorprenderci l’intelligenza artificiale generativa è la velocità con cui si propaga. Velocità in netto contrasto con le regolamentazioni che si annunciano e si cercano lentamente di produrre a partire dal parlamento europeo che lo scorso 13 Marzo ha approvato L’AI act che entrerà in vigore in 24 mesi.
Dopo aver impiegato due soli giorni a raggiungere un milione di utenti, l’applicazione più celebre nel campo della Gen AI, Chat GPT di Open AI, ha impiegato soli sei mesi per raggiungerne 100. Gli ultimi dati di Febbraio ci dicono che in poco più di un anno da quando è stata messa in circolo nella rete ha raggiunto addirittura 280 milioni di persone, sradicando i record di adozione di social media del calibro di Instagram a Tiktok e di videogiochi popolari come Fortnite, che qualche anno fa già ci avevano sbalordito per rapidità di diffusione.
Ma la vera sorpresa è la velocità trasversale con cui colpisce i contesti più disparati di adozione, anche quelli creativi come grafica (con i vari Dall*e), video (Sora) e produzioni musicali (Landr), che corrono imperterriti e indifferenti alle grida di chi vede le competenze di Sapiens diventare improvvisamente obsolete. Del resto più la macchina impara non solo dal linguaggio, come nelle prime release dei Large Language Model, ma anche da altre fonti quali audio e video, come sta accadendo con le nuove release di prodotti a partire da Gemini di Google, non potremo che assistere a una velocità di apprendimento dei co-piloti che ci circondano e un piacere maggiore a impiegarli e a consigliarli alla nostra rete di family and friends nei vari settori di uso.
Nulla però è così sorprendente come la recente invasione di campo nel mondo della biologia. In un recente articolo su Time, Eric Schmidt esplicita la conoscenza tacita che da mesi sta maturando nei laboratori di tutto il mondo. Da quando cioè la si impiega non solo per aiutare i ricercatori a verificare le loro ipotesi, ma anche per «thinking the unthinkable» immaginare l’inimmaginabile, ovvero creare ipotesi che l’occhio e la mente umana faticano a vedere e intendere. Più saremo in grado di impostare e addestrare modelli di Gen AI sulle sequenze biologiche più potremo immaginare la progettazione di nuove proteine, predire la crescita di patogeni e immaginare magari nuove soluzioni terapeutiche.
Inutile dire che in tempi non lontani il tutto sarà condotto con i qbit dei computer quantistici che stiamo da poco sperimentando in qualità di prototipi: computer cioè con un potenziale esponenzialmente superiore alla legge di Moore che ha guidato la terza rivoluzione industriale e che ha portato i dati dalla scrivania (il computer desktop) alle nuvole (il cloud dei nuovi mainframe). Potremo cioè condurre esperimenti con milioni di dati che semplificheranno le fasi in vitro e in vivo anche della ricerca farmaceutica. C’è chi vede in tutto ciò i prodromi di una quinta rivoluzione industriale basata proprio sulle biotech e sul loro impatto nei diversi settori.
Tornando alla velocità è evidentemente impossibile fermare l’onda irreversibile di una tecnologia che si diffonde velocemente per ragioni tecniche, ma anche per il piacere e l’utilità di impiego di milioni di utenti di tutti i continenti. Lo abbiamo già visto con il web e la storia si sta semplicemente ripetendo quest’oggi più velocemente. È quindi fondamentale oltre a velocizzare la regolamentazione per renderla equa e non eccessivamente e inopportunamente invasiva, che si affronti il tema del ruolo che vogliamo giocare come Italia e come Europa. Il rischio è che il divario con Usa e Cina si amplifichi anche in settori dove il vantaggio comparato ha giocato sino ad oggi dalla parte del vecchio continente.
I campi di applicazione
Ad esempio potremo condurre esperimenti con milioni di dati che semplificheranno le fasi in vitro e in vivo anche nella farmaceutica