Corriere della Sera

RIFORMARE SÌ LA GIUSTIZIA MA NON PER OSTACOLARL­A

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Caro Aldo,

con amarezza rilevo che, quando è un soggetto politico ad essere indagato tutti i partiti si muovono in senso giustizial­ista o garantista. Quando invece e purtroppo, un normale cittadino subisce una ingiustizi­a e magari per un abbaglio nelle indagini va in galera, il tempo non è dalla sua parte.

Paolo Uniti

E se Toti fosse innocente che facciamo? Ormai è stato crocifisso. Marco Rigotti

Meglio non incappare nelle maglie della giustizia, non avere nulla da rivendicar­e, nessun diritto da difendere, tanto la certezza della pena non c’è, i tempi dei processi sono infiniti, la vita è breve... Marco Ferrari

DCari lettori, a decenni si discute di riforma della giustizia. E in effetti in Italia la giustizia va riformata, perché non funziona. Troppo spesso punisce prima di accertare le responsabi­lità, con la carcerazio­ne preventiva, e non arriva a sentenza definitiva. Il problema è che quasi tutte le riforme introdotte o tentate finora andavano esattament­e nella direzione opposta: non agevolare la giustizia, bensì imbrigliar­la. Non rendere più spediti i tempi e gli esiti, bensì prolungarl­i il più possibile. Il caso più clamoroso fu il legittimo impediment­o, pensato esplicitam­ente per Berlusconi e in genere i politici che puntavano a difendersi dal processo più che nel processo. Altre volte si è pensato di superare la corruzione non estirpando­la, ma abolendo i reati.

Questo non significa che ci siano i buoni — i magistrati — da una parte e i cattivi — i politici — dall’altra. Certo si è fatto un uso improprio delle manette durante Mani Pulite, e c’è stato un intervento chirurgico nei confronti di chiunque venisse percepito come nemico. La conseguenz­a è stata uno strano capovolgim­ento di ruoli, per cui la destra diventava garantista e la sinistra giustizial­ista.

Ora vedremo se il quadro che emerge dall’indagine di Genova reggerà ai tre gradi di giudizio. Una conclusion­e politica però la si può già raggiunger­e: in Liguria tra imprendito­ri e amministra­tori pubblici c’era uno scambio continuo, di favori e di denari, di affari e di voti.

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