RITROVIAMO IL CORAGGIO
Torna il Festival dell’economia di Trento. L’economista: «Il vero problema è il lavoro povero» IL NOBEL PHELPS: «L’EUROPA? È CHIUSA NEL CORPORATIVISMO»
Ma Edmund Phelps è di destra o di sinistra? Potrebbe essere considerato un progressista, data la sua lunga amicizia con John Rawls, guru dei redistributori americani del reddito, e soprattutto considerati i suoi studi che, indagando le correlazioni fra prezzi, salari, disoccupazione e inflazione, gli hanno valso il titolo di capostipite dei neokeynesiani.
Eppure l’oggi professore emerito di Economia politica alla Columbia University, che nel 2006 vinse il Premio Nobel per l’economia per «aver chiarito la comprensione delle relazioni tra gli effetti a breve e a lungo termine delle politiche economiche», resta fra i più radicali critici dell’impostazione «corporativa» di matrice europea incapace, questa la sua tesi, di generare dinamismo imprenditoriale e quindi innovazione tecnologica. Non è un caso dunque che, superati ormai i 90 anni (ne farà 91 il prossimo 26 luglio), Phelps sia percepito dalla comunità accademica internazionale tra i più lucidi, appassionati e originali difensori del capitalismo.
Professore, il prossimo giovedì 23 maggio sarà al Festival dell’economia di Trento. Non sarà solo un gradito ritorno, ma anche l’occasione, a partire dalle 14,30 presso il Teatro Sociale, di approfondire un dibattito caro a noi italiani, e cioè quello sul salario minimo e, più in generale, sull’opportunità da parte dell’amministrazione centrale di intervenire sul potere d’acquisto dei propri cittadini in situazioni di oggettiva difficoltà come, ad esempio, quella provocata dall’impennata dei prezzi energetici degli scorsi mesi.
«Lo scorso anno ho dato alle stampe il mio ultimo lavoro, che si intitola My Journeys in Economic Theory. È, come dice il titolo, il tentativo di rileggere con un approccio più distaccato e comparativo sessant’anni di studi economici e oltre mezzo secolo di visioni e letture della congiuntura contemporanea. Le faccio un esempio: io e Milton Friedman, seppur partendo da presupposti apparentemente anstata titetici, abbiamo confutato nella seconda metà degli anni Sessanta la curva ideata nel 1958 dall’economista A.W. Phillips, il quale affermò che inflazione e disoccupazione erano inversamente correlate. In altre parole, Phillips sosteneva che maggiore è l’inflazione in un’economia, minore è la disoccupazione e viceversa. Io e Friedman arrivammo indipendentemente alla conclusione che nel lungo periodo non esiste alcun compromesso del genere. Tesi che è confermata in modo evidente dalla stagflazione degli anni Settanta».
E questo che ripercussioni ha sulla situazione che stiamo vivendo?
«Il vero problema da affrontare oggi credo non sia quello della disoccupazione, bensì del lavoro povero. Il lavoro, e quindi la sua remunerazione, non è solo un mezzo per procurarsi da vivere ma è anche il modo in cui il cittadino realizza sé stesso, costruisce la sua autostima in quanto può avere indipendenza dall’aiuto di altri, avere una abitazione, mantenere una famiglia e cercare un miglioramento progressivo delle proprie condizioni. Remunerare il lavoro, e difenderlo quindi dall’inflazione, non significa allora assicurare la sussistenza dei poveri, quale è l’azione dei sussidi al di fuori del lavoro e come grosso modo era il reddito di cittadinanza nelle
Nel corso dell’ottocento è emersa una società audace, in cui ognuno sceglieva la sua strada. Per cercare di riconquistare quel dinamismo dobbiamo rifiutare i valori postmoderni
Purtroppo, la direzione è quella contraria, se è vero che i giovani vogliono rimanere vicino alla città natale, ai loro amici, o vivere coi genitori La vitalità dei moderni opposta all’apatia dei contemporanei
L’ultimo saggio
Del 2023, My Journeys in Economic Theory rilegge sessant’anni di studi economici
L’appuntamento
Il professore emerito della Columbia sarà al Teatro Sociale di Trento il 23 maggio
sue interpretazioni più lassiste, ma significa in primo luogo “remunerare chi lavora” affinché decida di restare sul mercato. È un fine sociale, nel senso che da questo dipende la qualità della società e dell’economia nel suo complesso».
Nel suo saggio Mass Flourishing lei sostiene che dalla fine dell’ottocento si è affermato un sistema di valori antitetico alla modernità, all’individualismo, inteso come voglia e libertà di intraprendere, di liberare le energie dello spirito innovatore degli individui.
«Nell’ottocento è emersa una società audace, in cui ognuno sceglieva la sua strada. Per riconquistare quel dinamismo dobbiamo rifiutare i valori post-moderni. Purtroppo, la direzione è quella contraria se è vero che i giovani vogliono rimanere vicino alla città natale, vicino ai loro amici, o addirittura vivere con i genitori. La vitalità dei moderni opposta all’apatia dei contemporanei».